Garantisti a parole

da Il Messaggero del 28.1.99

di ROBERTO MARTINELLI
Sembrava che il ”giusto processo” fosse in dirittura d’arrivo, e che il dialogo tra maggioranza e opposizione fosse davvero ripreso su un tema fondamentale per la tutela dei diritti del cittadino. E invece, l’ennesima spaccatura nella sinistra ha riproposto i distinguo, i bizantinismi, e l’indecisione di fondo sulle linee guida per una modifica della Carta costituzionale che tutti invocavano a gran voce.
Ma sul nuovo ripensamento, incombe questa volta un’incognita non prevista: la condanna dell’Europa in tema di ”giusto processo”. Il nostro paese, è sotto accusa per aver giudicato un imputato sulla base di prove raccolte fuori dal dibattimento, sottratte al libero contraddittorio tra le parti. La Commissione ha già dichiarato ammissibile il ricorso di un cittadino italiano condannato sulla base delle dichiarazioni di tre coimputati che si rifiutarono di rispondere al processo.
Invitato a dare spiegazioni, il nostro Governo aveva assicurato l’organo di giustizia europeo che casi del genere non potevano più verificarsi in quanto la legge era stata modificata. Così è stato fino all’ultima sentenza della Corte costituzionale. La Consulta ha infatti dichiarato illegittimi alcuni articoli del Codice di procedura, e ha di fatto ridisegnato il ”513”, l’articolo della discordia che il Parlamento aveva modificato in favore del diritto di difesa.
Dalla sentenza della Corte era nata la proposta di inserire nella Costituzione il principio secondo il quale ogni persona accusata di un reato ha diritto ad un processo giusto, celebrato nel contraddittorio delle parti, davanti ad un giudice imparziale, in tempi ragionevoli. La commissione affari costituzionali del Senato si era mossa in questa direzione ed aveva recepito proprio i principi che la Convenzione europea indica come le regole fondamentali e irrinunciabili di uno Stato di diritto. Probabilmente ignorava che proprio su questo aspetto, dinanzi alla Corte di Strasburgo fosse già in corso una procedura di impeachment per la giustizia italiana. Sarebbe paradossale volere rischiare una condanna certa della Corte europea per violazione di quei principi che erano sul punto di entrare nel nostro ordinamento.
Il Procuratore generale della Cassazione, e prima di lui il vice presidente del Csm, hanno da poco ricordato che troppe volte il nostro paese era stato condannato dai giudici europei per la lentezza della macchina giudiziaria e per le contraddizioni di tutto il sistema giustizia. Mai prima d’ora era accaduto però che una sentenza di condanna centrasse il cardine fondamentale del giusto processo, sul quale una parte della sinistra continua a fare accademia.
C’è chi sostiene che dietro la spaccatura della Sinistra vi siano le pressioni di alcune procure di frontiera, esposte in prima linea nella lotta al crimine organizzato e la corruzione del sistema. E’ un’ipotesi che non può essere presa in considerazione, perché se così fosse, ci troveremmo di fronte ad una vera e propria ”ingerenza” di una parte del potere giudiziario sulla sovranità del Parlamento e dei suoi componenti.
L’ingresso del nostro paese in Europa è stato contraddistinto in gran parte da provvedimenti e misure di ordine politico, economico, tariffario e commerciale. In molti casi, Maastricht ha comportato adeguamenti a standard più severi dei nostri. Sulla giustizia, dove portiamo in dote condanne infinite e ove più sollecito dovrebbe essere il nostro sforzo di avvicinamento agli standard degli altri partner, l’Italia non riesce a fare il salto di qualità che gli è riuscito sul debito pubblico.
A parole, tutti si dichiarano favorevoli alla cultura del garantismo, e nessuno ama farsi etichettare come giustizialista. Ma al momento di passare dalle parole ai fatti, o, se più vi piace, di essere europei prima che italiani, ecco che riaffiora la preoccupazione che garantismo equivale a lassismo e quindi a voglia di impunità per i colpevoli. A sostegno di questa tesi si usano argomentazioni e teorie spesso capziose. Si arriva a riproporre persino il falso problema dell’autonomia delle forze di polizia dai Pubblici ministeri. Ora si discute con bilancio da leguleio sulla validità di un testimone irreperibile o su quello che si sottrae all’interrogatorio.
Il problema è solo quello di affermare che grande determinazione che il ”giusto processo” deve celebrarsi in un’aula di giustizia, alla luce del sole, davanti ad un giudice che oltre ad essere imparziale, deve anche apparire come tale, e mantenere sempre la sua terzietà di fronte a tutti: pubblici ministeri, avvocati difensori e politici. In quest’aula di giustizia deve formarsi la prova dell’innocenza o della colpevolezza dell’imputato. In quest’aula, e non altrove, il testimone che accusa