«Subito
il braccialetto ai detenuti in libertà»
da La Stampa del 28.6.99
Jacopo Arbarello
ROMA
Emergenza criminalità, qualcosa si muove anche a livello legislativo,
si discutono nuove misure per arrestare l’ondata di furti, rapine e omicidi
degli ultimi tempi. Il «pacchetto sicurezza» proposto dal Governo
arriva alla Commissione Giustizia all’indomani dell’arresto a Milano di
tre detenuti in libertà che avevano partecipato all’agguato al furgone
portavalori.
Ieri, all’ordine del giorno c’era la relazione introduttiva dell’onorevole
Giovanni Meloni che esponeva il contenuto del decreto legislativo. Ma già
da oggi inizia il dibattito, che si preannuncia molto acceso. Si parlerà
anche della discussa questione del «braccialetto elettronico»
per controllare i detenuti in libera uscita o agli arresti domiciliari,
proposto dall’ex-ministro di Grazia e Giustizia Giovanni Maria Flick in
un articolo su «La Stampa». Anche se per il momento non cita
i braccialetti, il testo base del «pacchetto sicurezza» prevede
alcune importanti novità. Vengono introdotti due nuovi reati, «la
violazione di domicilio finalizzata al possesso di cose altrui» e
lo scippo, che finora erano semplici aggravanti del furto. Parallelamente,
anche le pene diventano più severe. Per la violazione di domicilio
si va da 2 a 6 anni di reclusione. Il «furto con strappo»,
lo scippo, viene equiparato alla rapina e punito con una detenzione dai
3 a ai 10 anni. Per questi due nuovi reati sarà esclusa la sospensione
della pena. E viene anche introdotta una nuova aggravante: aver commesso
il fatto contro persone che hanno minori capacità di difesa, come
gli anziani e i disabili.
Fra le misure di prevenzione, si prevede l’utilizzo dell’esercito nelle
postazioni fisse al posto delle forze dell’ordine, nelle zone interessate
dalla criminalità organizzata. Il decreto legislativo è in
armonia con la decisione del ministro Jervolino di «liberare»
quanti più agenti possibile dai servizi burocratici per riportarli
sul territorio, all’azione diretta contro la criminalità. L’iter
legislativo del decreto prevede adesso la discussione generale. Alla ripresa
dei lavori, in settembre, si discuteranno gli emendamenti e poi, se il
testo sarà pronto, si passerà all’esame dell’aula. Ma in
commissione sono molti i deputati che non sono contenti del testo base,
soprattutto per quanto riguarda gli aspetti operativi. Innanzitutto il
«pacchetto sicurezza» non contiene la proposta dei «braccialetti»
che introdurrebbero un sistema di controllo elettronico sui detenuti in
semi-libertà, agli arresti domiciliari o in permesso premio. Carlo
Leoni, responsabile giustizia dei Ds, annuncia che proporrà l’introduzione
del provvedimento: «Un dispositivo elettronico sul detenuto, che
sia un bracciale, una cavigliera o una spilla, consentirebbe di controllare
in modo molto semplice gli spostamenti dei detenuti più a rischio
senza intaccare la loro dignità». Sull’ipotesi di introdurre
finalmente i controlli elettronici, è d’accordo anche il relatore,
Giovanni Meloni, di Rifondazione Comunista e il responsabile giustizia
di An, Alfredo Mantovano.
Sulla questione dei benefici accordati ai detenuti il segretario dell’Associazione
nazionale magistrati, Mario Cicala accusa: «Non riuscendo a garantire
strutture carcerarie umane, lo Stato si scarica la coscienza reimmettendo
nella società civile persone di cui è più che dubbia
la riabilitazione e di cui è molto difficle il controllo al di fuori
delle carceri».
Mantovano vorrebbe una restrizione drastica della concessione dei benefici,
in particolare per i delinquenti recidivi. Ma si pone sulla stessa linea
anche il collega diessino Leoni, che chiede ai magistrati di valutare con
più attenzione la pericolosità del detenuto prima di accordargli
una misura alternativa al carcere. Per il resto, Mantovano giudica il «pacchetto
sicurezza» sostanzialmente «da buttare perchè pieno
di norme inutili, demagogiche e dannose. Bisognerebbe piuttosto potenziare
le forze dell’ordine». Ma la critica più inaspettata viene
proprio dal relatore, Giovanni Meloni: «Il provvedimento deve passare,
ma non basta aumentare la pena per scoraggiare il crimine. Servono decisioni
concrete».
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