«Io, giudice da 1.600 sentenze»
da Il Messaggero del 28.11.99
di ANTONIO DE FLORIO
Lo Stachanov delle sentenze si trova a Tivoli. In poco più di
un anno ne ha sfornato 1.600, praticamente il doppio dell’anno precedente,
abbattendo del 70% i procedimenti arretrati. È un giovane magistrato,
classe 1966, e si chiama Giovanni Ariolli. È sposato e trova anche
il tempo di studiare all’università della Luiss, come assistente
di diritto penale. Quando può, naviga su Internet, dove ci sono
siti utili alla sua attività.
Come ex pretore e ora come giudice monocratico si occupa prevalentemente
di furti, scippi, ricettazioni, truffe, di quei piccoli fatti che in genere
non meritano grossi titoli sui giornali, ma che preoccupano tanto il cittadino
qualunque. Lui non se ne adombra: «Quando ero in Toscana - racconta
- ho fatto anche i maxi-processi ai mafiosi, ma qui la gente inizia a fermarti
per strada, ringraziandoti per un servizio tra l’altro dovuto».
Dottor Ariolli, come ha fatto a macinare tante sentenze?
«Con un po’ di organizzazione e tanta buona volontà. Il
presidente Scotti, da cui dipendiamo perché siamo una sezione distaccata
del tribunale di Roma, ci ha messo a disposizione un paio di collaboratori
in più, incoraggiando il nostro progetto. Siamo passati da due a
tre udienze la settimana, lavorando anche fino alle dieci di sera».
E gli straordinari?
«Qui devo dire che il personale amministrativo è stato
di grande collaborazione. I mezzi a disposizione erano veramente pochi:
molti hanno accettato di lavorare oltre, senza averne un ritorno economico,
in vista dell’abbattimento dell’arretrato. Sono riuscito a convincerli
che insieme potevamo dare un segnale forte: restituire fiducia ai cittadini
con una giustizia più celere».
È stato allora soltanto una questione di cancellieri?
«No. C’era il problema dei testimoni e degli imputati che regolarmente
citati non si presentavano alle udienze. Così si passava da un rinvio
a un altro, favorendo la prescrizione dei reati. Alle compagnie dei carabinieri
(nel circondario ce ne sono tre perché serviamo un territorio di
48 comuni con 300.000 abitanti) ho chiesto di aver a disposizione un militare
perché accompagnasse coattivamente i testi che non avevano un legittimo
impedimento. Analoga richiesta ho rivolto alle Aziende sanitarie locali
per avere un medico che immediatamente controllasse le effettive condizioni
di salute di chi mandava un certificato medico».
E non c’è stata la rivolta?
«All’inizio qualcuno ha storto il naso. Ma poi si sono resi conto
che celebrare i processi era nell’interesse di tutti. Prima di tutto nei
confronti dei testimoni: eliminando i rinvii, si veniva una sola volta
a palazzo di giustizia e si risparmiava tanto tempo. E in secondo luogo
per le vittime dei reati e per gli stessi imputati, che hanno diritto ad
avere un processo in un tempo ragionevole. Il sistema ha comunque funzionato:
dopo i primi accompagnamenti coatti e le prime visite fiscali c’è
stato una sorta di passa parola e quasi tutti si sono presentati alle udienze.
Non solo. Sono aumentati i patteggiamenti del 10-15%: chi confidava nella
prescrizione dei reati, grazie ai rinvii, ha dovuto ricredersi, preferendo
patteggiare la pena».
E le centinaia di procedimenti per abusi edilizi?
«Mi sono rivolto ai sindaci e agli uffici tecnici dei comuni
chiedendo celermente quali fossero le situazioni condonabili. Come si sa,
il condono estingue il reato. In questo modo una grossa fetta di arretrato
è stato eliminato e lo Stato ha potuto incassare da una parte le
sanzioni amministrative e risparmiare dall’altra, chiudendo con anticipo
i processi penali».
Per i reati che creano maggiore allarme sociale, come lo scippo o il
furto alle persone più deboli, è allo studio alla Camera
un inasprimento delle pene. Lei cosa ne pensa?
«Aumentare le pene non serve, perché già ci sono
e sono piuttosto severe. Il problema è applicarle effettivamente
e questo è possibile celebrando celermente i processi. A me è
capitato, ad esempio, il caso di un peruviano che con un complice aveva
sottratto la pensione a una vecchietta mentre usciva dalla posta. L’uomo
è stato bloccato dalla polizia e processato per direttissima. Aveva
dei precedenti specifici e ha preso una condanna a tre anni e otto messi,
senza la sospensione condizionale della pena. Ciò è stato
possibile perché ho avuto in tempo il quadro dei suoi precedenti.
Ma spesso non è così, perché i casellari non sono
aggiornati e si finisce per concedere dei benefici a chi non li merita.
Come vede, la questione non è prevedere pene più severe,
ma renderle certe».
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