Flick: «La riforma ostaggio
dei politici»
da Il Messaggero del 28.9.99
di MARIO COFFARO
ROMA - «Sono sconcertato, lo scontro sui pentiti di questi giorni
sta riproducendo esattamente quello che precedette nel ’96 il disegno di
legge di riforma presentato da me e dal ministro Napolitano e ancora fermo
al Senato dopo oltre due anni e mezzo». L’ex ministro della Giustizia
Giovanni Maria Flick insiste su un punto: «Invece di schierarsi a
favore o contro i pentiti perché non discutiamo di contenuti? Perché
chi blocca l’approvazione delle nuove norme non spiega quali vorrebbe modificare
e come? La polemica tra chi difende e chi attacca l’uso dei pentiti non
ha nulla a che vedere con quanto abbiamo proposto io e Napolitano».
Oggi la commissione giustizia del Senato dovrebbe approvare finalmente
il testo, ma chi è responsabile dell’ostruzionismo?
«Io e Napolitano abbiamo chiesto alla maggioranza e all’opposizione
di spiegarlo chiaramente ai cittadini. Ho anche ricordato che, almeno all’inizio,
il disegno di legge venne attaccato da alcuni magistrati. Ma quegli stessi
magistrati poi si sono ricreduti, mentre l’opposizione e parte della maggioranza
- i popolari - hanno proseguito a remare contro. Il fatto è che
dopo due anni e mezzo il problema avrebbe potuto essere risolto. È
sbagliato dividersi sulla lotta alla mafia, sull’azione della magistratura
penale. Io chiedo un ritorno alla serenità».
Non è utopistico?
«Forse, ma è essenziale per attuare il giusto processo.
Faccio un esempio: le nuove norme sui collaboratori di giustizia prevedevano
che il pentito avesse l’obbligo di sottoporsi al controinterrogatorio della
difesa pena la revoca della protezione. Non è giusto processo questo?
Stupisce che le forze politiche dell’opposizione che si battono per il
giusto processo poi non mettano tutta l’energia per approvare con priorità
queste norme. Altro esempio: quando venne proposto dalla maggioranza un
differimento dell’approvazione del giusto processo, per ritorsione l’opposizione
ritirò il consenso alla sede legislativa per approvare in commissione
la legge sulle investigazioni difensive. Ma non erano anche queste norme
essenziali per il giusto processo?».
La polemica sui pentiti per Caselli e Di Pietro nasconderebbe un ennesimo
tentativo di delegittimazione dei magistrati: è d’accordo?
«Non sono così ingenuo da non capire che chi porta avanti
la logica della contrapposizione sterile cerchi in realtà di delegittimare
i magistrati. È inaccettabile però la logica dello scambio.
L’opposizione che dice sì alla legge sui pentiti in cambio della
modifica dell’articolo 192 sul valore di prova di più dichiarazioni
di pentiti. Non porta a nessun risultato».
E il rilancio della commissione parlamentare su Tangentopoli la convince
ora?
«Ero contrario nel ’98 come tutto il governo Prodi e non mi pare
siano cambiate le condizioni. Nonostante le buone intenzioni, temo le sovrapposizioni
con inchieste giudiziarie in corso, temo che alimenti un clima di scontro
e di delegittimazione reciproca tra mondo della politica e mondo giudiziario».
Cosa deve cambiare perché i giudici non rimettano in libertà
sempre gli stessi criminali ?
«Deve cambiare la norma che riporta a casa chi evade dagli arresti
domiciliari. Chi evade torni in carcere. Ma serve anche un giudizio rapido
e semplice quando la prova è evidente. Se il bandito è ripreso
dalla telecamera mentre compie la rapina, c’è bisogno di un lungo
processo o basta un giudice che l’indomani lo punisca? Usiamo le pene alternative,
usiamo il braccialetto elettronico, usiamo le telecamere per sorvegliare
le strade e le zone degradate, usiamo pure il satellite, ma ci vogliono
i soldi. Chi parla tanto di giustizia e sicurezza dovrebbe poi ricordarsi
che hanno un costo e bisogna pagarlo. Non si può neppure accettare
la schizofrenia di chi vorrebbe scarcerare i tossicodipendenti il lunedì
e metterli in prigione il martedì. Siamo seri».
Ma c’è un’emergenza criminalità?
«La criminalità non mi sembra una emergenza così
grave come viene rappresentata dai media. Io ho due paure. La prima è
che si venga a creare un’emergenza sicurezza che non c’è ancora
autoalimentata dall’allarmismo. La seconda è che una volta creata
l’emergenza sicurezza si riproduca l’errore commesso con il terrorismo
prima, la mafia e la corruzione poi. Cioè quello di scaricare questa
emergenza sulla supplenza giudiziaria. Ci si è illusi che bastasse
lo strumento giudiziario per risolvere emergenze che vanno contrastate
soprattutto con la prevenzione e l’efficienza dell’amministrazione».
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