Malagiustizia
da L'Unione Sarda del 29.4.99
Il cittadino comune non se ne rende conto fino a quando la lunga mano
della magistratura (la Giustizia è un'altra cosa) non gli è
caduta addosso per strangolarlo. Solo allora capisce, si indigna, chiede
aiuto e solidarietà. Ma si troverà di fronte un muro di omertoso
silenzio. Ciascuno, purtroppo, si difende per suo conto e quasi sempre
il privato cittadino soccombe. L'elenco dei casi sarebbe troppo lungo e
doloroso. A iniziare da Gesuino Pregio, un panettiere di Selargius arrestato
per l'omicidio di una prostituta sulla 554. A nulla valsero i suoi proclami
di innocenza. Un pm lo arrestò, un altro lo rinviò a giudizio,
i giornali lo lapidarono, la famiglia lo abbandonò. Non aveva soldi
per avvocati né per consulenti. In carcere venne violentato, umiliato,
deriso. Solo dopo quasi due anni di ingiusta carcerazione preventiva venne
scarcerato perché innocente: la prostituta era stata uccisa da un
camion che non l'aveva vista mentre adescava clienti sul ciglio della strada.
Pregio uscì dal carcere ma il carcere restò in lui. Morì
dopo pochi mesi di cosiddetta libertà ormai senza lavoro e senza
casa, straccio fra gli stracci e la sua morte fu straziante, disumana.
Nessuno ha pagato per questo: tanto il magistrato che lo arrestò
quanto quello che lo rinviò a giudizio fecero carriera. Allo stesso
modo i fratelli Pireddu: due generazioni di onesti imprenditori vennero
distrutte da un'accusa ingiusta (in processo vennero condannati solo due
di loro per un capo di imputazione completamente diverso rispetto a quello
dell'ordine di cattura e assolutamente più lieve): un'azienda sana
fu fatta fallire e 650 padri di famiglia si ritrovarono dall'oggi al domani
senza un posto di lavoro per qualcosa di più di un errore giudiziario.
Per non parlare, infine, del povero Aldo Scardella, suicida in carcere
a causa di un errore giudiziario commesso da magistrati che tuttora operano
nel palazzo di Giustizia di Cagliari e possono commettere simili errori
senza pagare mai il conto.
Non parliamo dei processi in corso, di quelli non ancora definitivi,
per evitare che la casta dei magistrati non faccia poi pagare il peso delle
nostre parole agli imputati innocenti.
Pensate che la loro arroganza è arrivata al punto di spingerli
comminare l'ergastolo come cumulo di pena a diversi imputati nonostante
si stia discutendo in questi giorni in Parlamento l'abolizione di una pena
così barbara, in totale contrasto con i principi umanitari della
nostra costituzione.
Sottoposto recentemente a una regia ben più rigida, il palazzo
di Giustizia di Cagliari si sta trasformando in un vero e proprio plotone
d'esecuzione: le assoluzioni si sono ormai ridotte al lumicino ma, andati
in pensione gli ultimi magistrati perbene rimasti in sella, verranno abrogate
del tutto per evitare brutte figure ai pubblici ministeri.
E ciò è possibile a causa di due tipi di solidarietà:
una ambientale e l'altra parentale. Quella ambientale è dovuta al
fatto che la gran parte dei pubblici ministeri (soprattutto quelli più
influenti) hanno presieduto collegi di Tribunale o di corte d'assise e
viceversa. Hanno studiato insieme, hanno insieme i corsi, giocano a tennis
insieme ogni mattina e hanno la casa al mare al fianco. Insomma, sono amici
per la pelle. E come può un presidente di Tribunale far fare una
brutta figura (col rischio di gravi ricadute sulla carriera) nei confronti
del pubblico ministero suoi fraterno amico? Non si può.
In un Tribunale piccolo come quello di Cagliari le amicizie contano.
E si vede.
Poi c'è un secondo problema, segnalato otto mesi fa al Csm dall'ordine
degli avvocati pur con qualche comprensibile imbarazzo. Ed è il
problema delle incompatibilità. Ben 38 magistrati sono incompatibili
per stretti rapporti di parentela con altri magistrati o con avvocati che
operano nello stesso Tribunale. E ciò è espressamente vietato
dall'ordinamento giudiziario nel quale l'articolo 18 recita testualmente:
I magistrati giudicanti e requirenti delle corti di appello e dei tribunali
ordinari, ed i magistrati delle preture, non possono appartenere ad uffici
giudiziari nelle sedi nelle quali i loro parenti fino al secondo grado
o gli affini in primo grado sono iscritti negli albi professionali di avvocato
o di procuratore né, comunque, ad uffici giudiziari avanti i quali
i loro parenti ed affini nei gradi indicati esercitano abitualmente la
professione di avvocato o di procuratore. L'articolo 19 invece recita:
I magistrati che hanno fra loro vincoli di parentela o di affinità
fino al terzo grado non possono far parte della stessa Corte o dello stesso
Tribunale o dello stesso ufficio giudiziario.
E' comprensibile quindi a che rischio è sottoposto il povero
imputato quando si trova come giudice la moglie del pubblico ministero
o la cognata del giudice istruttore. Quando poi non capita che l'avvocato
di parte civile sia socio di studio del fratello del pubblico ministero.
In caso di incompatibilità - opportunamente sollevato dal consiglio
dell'ordine forense del Tribunale di Cagliari raggiunge dimensioni letteralemente
spaventose. Mettendo a repentaglio la fiducia che il cittadino dovrebbe
avere nei confronti della Giustizia.
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