Quei
giudici, personaggi in cerca d’autore
da La Stampa del 29.12.98
‘ C E’ quasi da comprenderlo quel giudice costituzionale di area cattolica
vicino a Scalfaro - per definire un membro della Consulta è più
elegante parlare di aree che non di partiti - che appena la scorsa settimana
si autocommiserava così: “Fino al 18 gennaio non penseremo al referendum
sulla legge elettorale per evitare di essere sottoposti alle mille pressioni
che ci vengono da più parti”. Quei giudici non sono, infatti,
in una posizione invidiabile: dire “sì” o “no” al referendum elettorale
può procurargli parecchi guai. Tanto che molti di loro vorrebbero
adottare la tecnica degli struzzi, mettere la testa sotto la sabbia e,
appunto, non pensarci. Un atteggiamento che testimonia il loro disorientamento:
“Da quanto ne so io - racconta un acceso sostenitore del quesito come
Giuseppe Calderisi - Giuliano Amato, che con quelli della Consulta ha buoni
rapporti, ad alcuni dice che il referendum passerà il vaglio della
Corte ad altri no”. Eh sì, si può dire che quegli uomini
togati, nella delicata condizione in cui si trovano, siano dei personaggi
in cerca d’autore, di qualcuno che li aiuti. E basta scorrere i nomi, riflettere
sulle storie che hanno alle spalle, per capire che quell’ Autore può
essere solo Oscar Luigi Scalfaro. D’altronde non è un segreto che
il Presidente abbia avuto molto peso nella composizione di questa Corte:
alcuni giudici li ha nominati direttamente come prevede la Costituzione,
altri ha contribuito a nominarli ispirando le istituzioni che dovevano
farlo. E proprio per questo una previsione dal sen fuggita di uno
dei consiglieri del Presidente, quello che più frequenta Montecitorio,
può suscitare malgrado la smentita dell’ufficio stampa del Quirinale
una valanga di dichiarazioni e di interpellanze da parte di tutti i personaggi
che sono saliti sul carro referendario da Mario Segni ad Achille Occhetto,
a Giuseppe Calderisi. L’influenza che il Capo dello Stato può avere
sulla Corte è, infatti, un nervo scoperto per l’armata referendaria
che da settimane chiede al Quirinale nelle forme più rispettose
di non fare pressioni.
Del resto che il Capo dello Stato possa è quasi un segreto di
Pulcinella. Un mese fa, ad esempio, quando alcuni parlamentari di Forza
Italia capitanati da Lucio Colletti andarono a trovare Massimo D’Alema
e gli chiesero tra l’altro di adoperarsi per far passare il referendum,
si sentirono dare tra il serio e il faceto questa risposta dal presidente
del Consiglio: “...Non sono mica Scalfaro...”. Si tratterà
di un’esagerazione o no sta di fatto, però, che per la vulgata del
Palazzo il Capo dello Stato può pesare sulla sentenza sul referendum.
Se poi ci si mettono anche le cene al Quirinale del Presidente con qualche
giudice togato, è ovvio che quella convinzione, diciamo così,
popolare, si alimenti. Ma al di là delle pressioni o meno,
le polemiche di ieri - che si aggiungono alle altre che ci sono state nelle
ultime settimane - mettono alla luce soprattutto un dato politico: nell’opinione
pubblica il movimento referendario è forte ed è capace addirittura
di imporre una sorta di unanimità se si arrivasse al voto (nessuno
dei grandi partiti si sognerebbe mai di cavalcare una campagna contro);
ma, contemporaneamente, deve fare i conti con un’opposizione sotterranea,
che in Parlamento è ben più ampia di quanto appaia a prima
vista e che punta tutte le sue “chance” di resistenza sul giudizio della
Corte.
Un’opposizione che può ritrovarsi intorno a Scalfaro e diventare
temibile per i vari Segni, Di Pietro e Prodi. Ne fanno parte i “centristi”
di ogni estrazione: da Mastella, a Buttiglione, a Boselli. E ancora i partiti
più piccoli dai rifondaroli di Bertinotti a quelli di Cossutta,
ai verdi di Manconi. Ha sposato questa posizione anche Francesco Cossiga,
dopo aver fatto parte del comitato per i referendum. E l’ex-Capo dello
Stato, si sa, annusa prima degli altri quando cambia il vento. Di questa
opposizione sorda fanno parte, poi, in maniera discreta anche Silvio Berlusconi
(che continua ad essere diffidente sul referendum) e Massimo D’Alema che,
a quanto si dice, ha consigliato a Veltroni maggior prudenza sul tema prendendo
a pretesto il nervosismo che ha suscitato negli alleati di governo, specie
nel Ppi, la presenza del segretario della Quercia alla manifestazione referendaria
con Segni, Di Pietro, Prodi e Fini.
Questa opposizione se non si scontrerà mai con i referendari
di fronte al Paese, potrebbe, però, offrire una sponda politica
e parlamentare ad una Corte Costituzionale che decidesse di bocciare il
referendum: dovrebbe solo non manifestare, dimostrare che in fondo il no
della Consulta è capito o, comunque, vissuto senza drammi da una
parte del Paese. A quel punto dopo aver protestato una, due, tre volte
il comitato referendario rimarrebbe inerme. Verrebbe di nuovo messa
in atto, in poche parole, la strategia che Scalfaro ha sempre prediletto.
Ecco perché la sentenza della Corte Costituzionale, quel “sì”
al referendum che nelle ultime settimane tutti consideravano scontato,
è tutto da vedere.
Augusto Minzolini
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