Diliberto: salvare i processi 

da La Repubblica del 29.1.99

di LIANA MILELLA 
ROMA - Un decreto legge salva- processi. Per tutti i
dibattimenti in corso o per quelli già conclusi, ma che
rischiano la mannaia della Cassazione. Norme che, però,
valgano anche per il futuro e che abbiano caratteristiche di
grande equilibrio e di rispetto del principio del
contraddittorio. Un provvedimento da redigere e approvare
in tempi brevi - di sicuro non durante il Consiglio dei ministri
di oggi -, che rispolvera, vista l’eccezionalità della
situazione, la via del decreto legge. Ieri mattina, prima di
essere travolto anche lui dall’influenza come migliaia di
italiani, il ministro Guardasigilli Oliviero Diliberto ha dato ai
suoi tecnici un input molto preciso: alle due sentenze della
Suprema corte - quella recentissima sulla necessità di
risentire i testimoni se cambia il collegio giudicante, l’altra
del giugno 1998 sulla competenza delle corti di assise
anziché dei tribunali per i reati puniti complessivamente con
pene superiori a 24 anni - il ministero dovrà rispondere con
una misura straordinaria e urgente, un decreto legge
appunto, che corregga il tiro ed eviti scarcerazioni e
prescrizioni. 
Ovviamente, ieri sera, non esisteva in via Arenula alcuna
norma già pronta. Ma un’idea sì. Nata dopo un pomeriggio
di approfondimenti. E l’ipotesi è questa. Tutto sommato più
semplice, per definire la competenza tra tribunali e corte
d’assise. Più complicata, invece, per il cambio dei giudici.
Nel primo caso, i tecnici di Diliberto ipotizzano di ridefinire,
con maggiore nettezza, quali reati debbano essere di
competenza dei tribunali e quali delle corti di assise. Nel
secondo, invece, le strade sono due. La prima è quella di
prevedere, per il futuro, dei giudici supplenti anche per
tribunali e corti d’appello così come oggi avviene per le corti
d’assise. In questo modo, anche in caso di sostituzioni, i
processi andranno avanti lo stesso. La seconda soluzione
riguarda i processi i9 corso o già conclusi. Toccherà al
giudice stabilire se, effettivamente, sarà necessario ripetere
un interrogatorio o risentire un teste il cui verbale è già nel
fascicolo del dibattimento. Gli articoli del codice di
procedura penale da ritoccare sono il 511 (Letture
consentite) e il 525 (Immediatezza della deliberazione). Se
le sezioni unite della Cassazione hanno stabilito che i testi
“essenziali” debbono essere riascoltati, esiste comunque lo
spazio per una legge che stabilisca nel dettaglio le modalità
e preveda delle deroghe senza ledere il diritto alla difesa e
garantendo il contraddittorio. 
Il ministro Diliberto, dunque, ha condiviso in pieno l’allarme
del procuratore di Palermo Caselli. Con una valutazione
politica evidente. Il principio stabilito dalla Suprema corte -
il nuovo processo è orale e le prove si formano davanti ai
giudici - è corretto. Tutti i tecnici di via Arenula sono
d’accordo. Ma una cosa sono i principi, altra le
conseguenze pratiche. La sentenza del 15 gennaio, in realtà,
dimostrerebbe che il nuovo codice è inapplicabile, va
riformato, pena scarcerazioni e prescrizioni. Di qui il primo
intervento tampone - cioè il decreto legge - e poi un
ripensamento più globale sull’intero processo penale.
Il ministro, comunque, non sconfessa la Cassazione. Che,
forse per la prima volta nella sua storia, ieri ha affidato a una
noterella l’interpretazione autentica della sentenza: quando il
collegio ha subito variazioni, “il testimone, la cui deposizione
sia essenziale, deve essere nuovamente citato e sentito, a
meno che ciò non sia possibile”. 
Una sentenza che ha sollevato plausi e obiezioni scontate.
Favorevoli gli avvocati (Giuseppe Frigo, Giandomenico
Pisapia, Gaetano Pecorella, Titta Madia) e le loro lobby in
Parlamento, preoccupati i magistrati per le conseguenze
pratiche, ma complessivamente favorevoli al principio
sancito (Piero Luigi Vigna, Vittorio Boraccetti). Al Csm
l’allarme è condiviso da numerosi componenti (Gioacchino
Natoli, Giovanni Di Cagno, Nello Rossi), ma il
vicepresidente Giovanni Verde invita alla cautela: la
Cassazione ha ragione, ma “le conseguenze della sentenza
possono essere attenuate con legge ordinaria, sempre che
non si ritenga che il principio non possa subire deroghe”. Un
invito esplicito al governo che, come due anni fa per una
decisione della Consulta sui giudici incompatibili, si affidò a
un decreto per salvare gli atti già compiuti. Ma questa volta
il dibattito sul 513 rende tutto più complicato. Il mondo
politico, come al solito, si è diviso: i garantisti che chiedono
il rispetto della Cassazione (Giovanni Pellegrino Ds, Pietro
Carotti Ppi) e coloro che, facendo salvo il codice, guardano
anche alle conseguenze concrete (Carlo Leoni, Ds).
Facilmente prevedibile, in Parlamento, uno scontro duro sul
futuro decreto legge.