D’Ambrosio frena “Ma a Milano nessun problema” 

da La Repubblica del 29.1.99

di CINZIA SASSO 
MILANO - “A Milano non mi pare che ci sia un processo
che sia uno che rischi di essere rifatto...”. Gerardo
D’Ambrosio, il coordinatore di Mani pulite, stavolta non
condivide l’allarme che parte da Palermo e pare anzi
sorpreso dall’intensità delle reazioni alla sentenza della
Cassazione. A memoria di pm, a Milano c’è stato un solo
dibattimento (Berlusconi-Guardia di finanza) nel corso del
quale è stato modificato il collegio e quel dibattimento,
come già diceva il codice, è stato azzerato e iniziato da
capo. Un altro, il processo per i morti al Galeazzi, è stato
sospeso pochi mesi dopo l’ avvio e riprenderà in estate
quando il giudice a latere che era in gravidanza rientrerà in
servizio.
Dottor D’Ambrosio, anche lei ritiene che quella della
Cassazione sia una decisione devastante?
“Mi pare che l’immutabilità dei giudici sia un principio
sacrosanto e condiviso, che non può non essere rispettato...
O sono io che non conosco più la procedura penale, o non
capisco di cosa si parla”.
Da Palermo i suoi colleghi dicono che, nei casi in cui i
giudici siano cambiati, risentire i testimoni allungherà i tempi
dei processi e molti imputati nel frattempo potranno tornare
in libertà.
“Allora non è che sia sbagliata la sentenza della Cassazione,
il problema sono le possibili conseguenze. Ma i casi nei
quali cambia un giudice sono eccezionali... e comunque i
guai vanno rimediati diversamente, non si può forzare un
principio come quello che stabilisce che il convincimento si
forma nell’oralità del dibattimento e che la Cassazione, a
sezioni unite, ha solo ribadito. Un principio che prevede
anche, per le Corti d’assise, nelle quali i processi possono
essere particolamente lunghi, la figura del giurato supplente.
La lettura di un verbale è sempre qualcosa di sommario, le
parole non sono tutto: ci sono i gesti, le espressioni, tutto
ciò consente al giudice di farsi un’opinione sull’attendibilità
dei testimoni. Il solo verbale non riflette una situazione
complessiva”.
Milano, dunque, non è toccata da questo problema. Crede
che possa essere fatta una valutazione diversa per i processi
di mafia?
“I principi vanno rispettati per tutti. Se iniziamo a
suddividere gli imputati per categorie, non siamo più in uno
Stato democratico. Il vero problema è che i dibattimenti
vanno fatti senza soluzione di continuità e che determinati
problemi non possono più essere rinviati: l’incremento dei
riti alternativi, ad esempio. Se si facessero solo pochi
processi, la conseguenza naturale sarebbe che quei processi
si potrebbero celebrare in tempi più brevi”.