| Accordo
dei ministri dell’interno Ue su divorzi e affidamento dei figli
da Il Manifesto del 29.5.98
Ci si potrà sposare in un paese e divorziare in un altro. Snellite
le procedure di affidamento dei figli
DI ANNA PIZZO
C hi non ha mai letto notizie di “rapimenti” di figli da parte di un
genitore di diversa nazionalità e di devastanti pastoie burocratiche
per ottenerne la restituzione? Cose che succedono più spesso di
quanto si immagini e che costringono chiunque ci capiti a anni di desolanti
peregrinazioni nei tribunali. Finora trascurata dall’Europa alla
ricerca della moneta, ieri è stata invece affrontata a Bruxelles
dai ministri dell’interno dei Quindici che hanno firmato la “Convenzione
di Bruxelles II”, prevista dal trattato di Maastricht, che apre nuove vie
alla cooperazione giudiziaria per quanto attiene al diritto privato, e
in particolare al diritto matrimoniale.
Si tratta di un importante passo avanti che servirà a rendere
più facili per i cittadini europei le procedure di divorzio e di
affidamento dei figli anche se risiedono in un paese diverso da quello
in cui il matrimonio è stato registrato. “Si tratta di un passo
di grande importanza per l’Europa”, ha detto il presidente di turno dell’Ue,
il ministro britannico Jack Straw, mentre la commissaria Ue Anita Gradin
ha ricordato che ora “gli europei possono sposarsi in un paese e divorziare
in un altro e questo ha un’enorme importanza per l’affidamento dei figli”.
La Convenzione firmata ieri, che entrerà in vigore 90 giorni
dopo la ratifica da parte dell’ultimo paese, prevede il riconoscimento
e l’applicazione di sentenze e ordinanze di diritto matrimoniale.
Una conseguenza sarà l’automatico riconoscimento da parte di
tutti gli altri paesi dell’Ue di una sentenza di divorzio pronunciata in
un paese. Un altro punto riguarda le donne di un paese, mettiamo la Gran
Bretagna, sposate con cittadini stranieri che si stabiliscono all’estero.
Finora se la donna rientrava in patria dopo il fallimento del suo matrimonio,
non poteva chiedere il divorzio per almeno un anno dopo il suo ritorno
in patria. L’accordo sottoscirtto ieri prevede invece che l’attesa venga
dimezzata.
Se la Convenzione entrerà in vigore solo quando verrà
ratificata da tutti e quindici i paesi, è possibile però,
nel frattempo, stabilire accordi bilaterali tra i paesi dell’Ue per facilitare
le procedure: Francia e Germania hanno già stabilito un accordo
del genere per regolare le questioni di divorzio.
Questo atto non significa che tutti i problemi legati alle mutazioni
delle famiglie siano d’un colpo risolti. Nella maggior parte dei paesi
europei si stanno tentando ipotesi legislative che tengano conto del fatto
che non esiste più un unico modello di famiglia e un unico rapporto
tra le persone che la compongono. In Francia, ad esempio, la settimana
scorsa è stato reso noto l’esito di un rapporto commissionato dai
ministeri del lavoro e della solidarietà sociale e da quello della
giustizia su “Coppia, filiazione, parentela. Il diritto di fronte ai cambiamenti
della famiglia e della vita privata”. Si tratta di un vasto lavoro che,
in particolare, ipotizza una nuova forma di divorzio senza ricorso al giudice
o cancella finalmente un antico retaggio del 1804 sul diritto ereditario.L’Italia
arranca e non si risolve nemmeno a stabilire quali diritti possano rivendicare
le cosiddette “coppie di fatto”. E non si tratta solo di una questione
che complicherebbe i conti dell’Inps. C’è dentro una storia, una
cultura e perfino una tentazione etica che nulla hanno a che fare con l’Europa
dei cittadini.
Se questo è vero per gli adulti, lo è a maggior ragione
per i bambini. Ciascuno si sente in diritto di assurgere a paladino in
difesa “degli interessi dei minori”, ignorando spesso quali siano.
L’antropologa Matilde Callari Galli ha scritto qualcosa che dovrebbe indurre
a riflettere: “Per molti gruppi andini - ma concezioni analoghe si trovano
in Oceania, in Asia e in Africa - non si diviene padre perché una
notte si ha avuto un rapporto sessuale con una donna, né perché
si è nutrito per un giorno il bambino. Un uomo comincia a divenire
padre dell’essere che ha concepito quando vive con la donna per tutto il
tempo della gravidanza, avendo con lei frequenti rapporti sessuali e alimentando
così il bambino man mano che cresce nel ventre della madre, prendendosi
cura di lei prima, e del nuovo nato poi. E una donna non riceve l’appellativo
di Mama dopo il parto, ma solo dopo che ha lottato per soddisfare i bisogni
della prole e dopo che l’ha educata in modo che sia socialmente accettata”.
Affermazioni velleitarie e scandalose, che attengono ad altre culture alle
quali l’Europa vuole rendersi il più possibile impermeabile.
E’ vero che dal ‘91 esiste una convenzione internazionale dell’Onu
per i diritti dei minori, ma è ancora sostanzialmente inapplicata,
in Italia come nel resto del mondo. Da punto di vista giuridico, la Convenzione
sancisce sempre la prevalenza del criterio del “superiore interesse del
minore”. Ma capita spesso che, nel corso di procedimenti di separazione,
divorzio o affidamento, il punto di vista del bambino non venga nemmeno
preso in considerazione. Di recente Simonetta Matone, sostituto procuratore
al tribunale dei minorenni di Roma, si è domandata se “dinanzi a
tante storie personali tragiche e scellerate sia sempre giusto difendere
ad ogni costo la famiglia legittima e il vincolo di sangue”.
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