Martone: dobbiamo tenerci separati dalla politica 

da Il Corriere della sera del 29.11.99

ROMA — Lo ha detto, e lo ribadisce: «La decisione del rinvio a giudizio di Silvio Berlusconi poteva essere presa "dopo" la giornata elettorale. Bastava martedì prossimo. Se non altro Berlusconi avrebbe avuto un motivo in meno per arrabbiarsi». Antonio Martone, magistrato di Cassazione ed ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati, è da sempre un fautore dei toni bassi. Ed è convinto che la maggior parte dei magistrati italiani la pensi come lui. 
«Bisognerebbe sforzarsi di separare il più possibile i problemi della giustizia dalla politica. Impresa difficile, ma bisogna tentarla. E credo che la stragrande maggioranza dei magistrati condivida il mio atteggiamento. Sui giornali si vedono solo i nomi di pubblici ministeri e gip, ma in Italia ci sono 5 mila magistrati che trattano i provvedimenti, presiedono collegi, dirigono dibattimenti, adottano sentenze. Quando mi hanno eletto presidente dell’Associazione nazionale magistrati, un giornale mi ha definito un "Carneade". Bene, per me quello è stato il miglior complimento che mi si potesse fare. Ho discusso più di 7 mila ricorsi in Cassazione, in 13 anni. Ma nessuno ne ha mai saputo niente».
Adesso, dopo l’ultima sfuriata di Berlusconi, i magistrati si appellano per l’ennesima volta al Consiglio superiore della magistratura, invocando un suo intervento.
«Credo che sia necessario stare attenti a non inseguire ogni singolo episodio. Pensi a quando il Tribunale di Milano ha stabilito che Craxi doveva essere curato agli arresti domiciliari: s’è scatenato un putiferio di commenti. Insomma, si corre sempre il rischio di un eccesso di interventi. Mentre per me sarebbe molto più importante, più utile una discussione generale, che prescinda dal singolo caso».
Nel suo intervento dell’altro ieri mancava però una presa di distanza almeno dai toni usati da Silvio Berlusconi. Qualcuno glielo ha rimproverato?
«Certo che mi hanno rimproverato. Ho risposto che avevo detto solo quello che avrei fatto io. Del resto il documento approvato dall’Associazione nazionale magistrati porta quattro firme, e una — per Unità per la Costituzione — è la mia. Ma sono due piani diversi. D’altronde all’onorevole Berlusconi sei mesi fa, quando ci accusò di terrorismo, io risposi con un documento dell’Associazione che era molto violento. Certo, Berlusconi ha fatto male a usare quei termini, ma continuo a difendere la mia idea: bastava far slittare di qualche giorno il rinvio a giudizio. In fondo Rossato aveva tempo fino al 31 dicembre... Perché secondo me una decisione del magistrato non deve sembrare mai una ripicca: tu non ti sei fatto interrogare, e io ti spedisco un rinvio a giudizio alla vigilia delle elezioni».
La sua pacatezza le è costata poco tempo fa la poltrona di presidente dell’Anm: l’hanno fatta fuori accusandola di non aver difeso abbastanza i pm di Palermo. Eppure lei insiste...
«Io ho sempre detto che non ci tenevo a fare il presidente a vita. Se posso portare avanti il mio piccolo percorso di ragionevolezza, lo faccio. Perché secondo me è l’unico modo per difendere l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. Se non facciamo questo, corriamo il rischio di ritrovarci delegittimati. E poi dobbiamo renderci conto che è cambiata la situazione: ai tempi della Bicamerale era tutto più semplice, perché la magistratura forse aveva un consenso molto più diffuso. Oggi invece è difficile per i magistrati far passare le proprie linee sulla giustizia presso i politici». 

Giuliano Gallo