| Le due clausole di un armstizio
da Il Corriere della sera del 29.10.99
I migliori armistizi sono generalmente quelli che portano in calce la
firma dei più accaniti combattenti. Come presidente della Commissione
antimafia Luciano Violante ha contribuito a diffondere la teoria del «doppio
Stato» e ha fornito una sorta di avallo politico alle indagini della
Procura di Palermo sulle pretese associazioni mafiose di Giulio Andreotti.
Se qualcuno avesse voglia di continuare la guerra, il presidente della
Camera sarebbe per lui, probabilmente, il peggiore degli interlocutori
possibili. Se avesse voglia di concluderla con un armistizio storico, farebbe
bene a leggere attentamente la sua intervista a Giuseppe D'Avanzo apparsa
nel Corriere di ieri. Violante non rinuncia alle sue convinzioni e continua
ad affermare le proprie opinabili verità. Ma sembra essere giunto
alla conclusione che la droga della storia può diventare per l'Italia,
dopo le vicende politiche e giudiziarie degli scorsi anni, una pericolosa
«overdose». Quando sostiene che il passato può diventare
fango e pregiudicare il futuro, Violante afferma principi su cui possono
concordare, per «cessare il fuoco», le componenti più
responsabili della maggioranza e dell'opposizione.
Come ogni armistizio, tuttavia, anche questo ha bisogno di clausole
e condizioni. Ne indicherò due che mi sembrano particolarmente importanti.
È necessario smetterla di fare la storia in Parlamento.
Il senatore Giovanni Pellegrino, presidente della Commissione stragi,
è un uomo equilibrato e intelligente, perfettamente capace di «stonare»
con insolita franchezza nel coro della famiglia politica a cui appartiene.
Ma la sua commissione - una specie di tribunale permanente, autorizzato
a riaprire tutti i dossier della Repubblica - è diventata un'utile
arena per chiunque voglia manovrare il passato contro i propri avversari.
Sperare che la verità possa emergere da un organo in cui ogni partito
tira la coperta dalla sua parte e diffonde soltanto notizie «utili»
è pericolosamente assurdo. Se la classe politica vuole davvero favorire
la ricerca della verità chiuda la Commissione stragi e approvi una
legge per ridurre drasticamente i termini entro i quali un archivio può
essere aperto alla consultazione degli studiosi. Ne ricaveremo, come si
è constatato negli Usa, un vantaggio supplementare: quanto più
i termini sono brevi, tanto più i governi debbono resistere alla
tentazione di fare cattivo uso del potere.
La seconda condizione concerne i rapporti tra politica e giustizia.
Sapevamo sin dall'inizio di Tangentopoli che le indagini sarebbero state
necessariamente selettive, che i processi sarebbero stati lenti e che molti
reati sarebbero stati inevitabilmente cancellati dall'inesorabile meccanismo
delle prescrizioni. Di fronte a un fenomeno di tale ampiezza le imperfezioni
del sistema giudiziario italiano hanno creato, anche quando gli intenti
erano eccellenti, la diffusa sensazione che la spada delle indagini e delle
sentenze colpisse, nella più favorevole delle ipotesi, una persona
su dieci. Le decimazioni possono essere indispensabili in tempo di guerra,
ma diventano in altre circostanze cattiva giustizia. Un vero armistizio
impone la fine dell'emergenza. Il rischio da evitare, naturalmente, è
quello di un «colpo di spugna», genericamente assolutorio.
Ma non v'è ministro della Giustizia, dal 1992 a oggi, che non abbia
preparato e tenuto nel cassetto un progetto per uscire da Tangentopoli.
È ora di tirarlo fuori.
di SERGIO ROMANO
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