Sul
costo del credito pesano i ritardi della giustizia civile
da Il Sole 24 ore del 2.6.98
Il serrato dibattito sviluppatosi nelle ultime settimane sul costo dei
mutui in Italia ha finito, come di consueto, per alimentare una delle più
pervicaci “presunzioni” che aleggiano nella nostra opinione pubblica: la
“presunzione di colpevolezza” delle banche italiane. Le colpe in questo
caso vengono variamente graduate fra quelle meno gravi di scarsa efficienza
e quelle collegate al delitto di usura.
Solo alcune più equilibrate posizioni sembrano riconoscere che
il problema nasce dalla modifica repentina e strutturale del quadro di
riferimento — la forte discesa dei tassi di interesse — e può richiedere
interventi concordati ed eccezionali per attenuare certi effetti di eccessiva
onerosità sui debitori nel rispetto di due irrinunciabili principi:
la piena e responsabile “libertà contrattuale” delle parti e la
massima “libertà di concorrenza”.
Quando però si invoca — e giustamente — la libertà di
concorrenza come il principale motore di un recupero di efficienza, allora
le banche debbono con forza riproporre quel problema che gli anglosassoni
chiamano di «levelling the playing field» ovvero della garanzia
di condizioni operative omogenee fra i diversi intermediari europei. L’Abi
lo sta facendo, segnalando tutto un insieme di sovraccosti strutturali
che gravano sulle banche italiane.
Si è spesso rilevato che il peso dei ritardi sistemici sulla
posizione concorrenziale degli operatori nazionali cresce con il procedere
della integrazione dei mercati. Gli operatori subiscono oneri soprattutto
per i gravi ritardi della giustizia civile, con implicazioni per il sistema
bancario in genere e sull’attività di credito fondiario in particolare.
Come è noto, il progressivo deterioramento della qualità
del credito ha investito anche il settore fondiario, ove l’incidenza delle
sofferenze sui volumi di credito è passata dall’8% del 1990 a valori
attuali superiori al 14 per cento. In questo settore, a un minor rischio,
implicito nella presenza di garanzie reali, non corrisponde un’effettiva
protezione della garanzia ipotecaria, essenzialmente per l’impossibilità
di recuperare in tempi brevi il credito in caso di insolvenza del debitore.
Peraltro, queste stesse difficoltà si riflettono su tutto il più
vasto ambito dei crediti concessi alla clientela coperti da garanzia ipotecaria
su immobili. La qualificazione dei tempi di realizzo dei crediti
mostra tutta la sua dirompente influenza negativa: il tempo intercorrente
tra i primi sintomi di difficoltà del debitore e il realizzo del
credito è in media intorno ai sei anni, ma può arrivare anche
sino a otto anni. Poiché negli altri Paesi europei i mesi e non
gli anni sono l’unità di misura dei tempi di recupero, il maggior
onere finanziario che grava sul complesso delle banche italiane è
ingente ed è stato stimato in circa 1.000 miliardi annui.
La complessità e la lunghezza della procedura di recupero esplica,
ovviamente, effetti negativi sia sulla posizione del debitore sia su quella
del creditore: innanzitutto perché aumenta l’incidenza delle spese
legali; in secondo luogo perché in un mercato immobiliare, che diversamente
dal passato non prevede più la lievitazione sistematica delle quotazioni,
al fattore “tempo” si associa il rischio di erosione del valore reale dell’immobile.
Se poi si considera che le procedure esecutive hanno tempi sensibilmente
più lunghi nelle regioni meridionali allora emergono ulteriori elementi
per qualificare in senso negativo la rischiosità del credito in
queste regioni e per spiegare il più alto livello dei tassi di interesse
applicati.
La più elevata rischiosità del credito ipotecario rischia,
infine, di ostacolare quei processi di securitisation, già ampiamente
utilizzati in altri Paese, su cui le banche italiane attualmente contano
per aumentare la liquidità degli attivi e il volume di risorse da
destinare al credito. Tali operazioni presuppongono, normalmente, crediti
di qualità elevata, dotati di un piano di rimborso chiaro e definito,
con un rischio di insolvenza di facile determinazione. Tutte condizioni
che, in assenza di patologie specifiche, sarebbero proprie dei mutui ipotecari.
In definitiva, sono inefficienze che penalizzano l’intero sistema:
perché si traducono in forme di razionamento del credito, perché
comportano la richiesta di maggiori garanzie, un più elevato premio
al rischio e, quindi, tassi di interesse più alti. Tutto ciò
dovrebbe suggerire di procedere con tempestività verso quella revisione
delle procedure esecutive immobiliari che è prospettata nel disegno
di legge del ministro di Grazia e giustizia, Flick — già approvato
dal Senato — e che recepisce gli orientamenti delle banche e di tutte le
parti coinvolte. Si tratta della soluzione di un problema di “giustizia”
e, al tempo stesso, della definizione di una componente non irrilevante
del complesso processo di riforma del nostro sistema finanziario portato
avanti dal Parlamento. Agendo sul piano dell’efficienza delle regole si
realizzano benefici nei conti economici delle banche non solo non distorsivi
della libera concorrenza, ma anche riduttivi di svantaggi competitivi che
penalizzano, in modo particolare, l’attività bancaria nel Mezzogiorno.
Carmine Lamanda Vicedirettore generale Banca di Roma
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