L’ultima
carica degli irriducibili in un clima ormai rassegnato
da Il Corriere della sera del 2.6.98
Stefano Folli,
Rinvio o sospensione: nella sottile, quasi esoterica differenza tra
i due termini si nasconde l’ultimo appiglio degli irriducibili. Cioè
di coloro che, come Marco Boato, relatore sul capitolo giustizia, non si
arrendono ancora «all’idea che
la partita delle riforme sia chiusa». C’è in questa resistenza
a oltranza il desiderio di non veder vanificato il lavoro di un anno e
mezzo. Ma c’è anche il timore del salto nel buio.
Ed è proprio questa paura ad alimentare gli sforzi in atto.
Rinvio o sospensione? La prima ipotesi, avanzata ieri da Franco Marini
dopo un colloquio con Scalfaro, aveva il significato di restituire alla
commissione Bicamerale, con un voto parlamentare, il fardello delle riforme.
Anzi, «solo i punti controversi», come precisa Nicola Mancino.
L’idea era quella di favorire una riflessione, nella speranza di ricavarne
poi un margine di trattativa. Non solo sul semi- presidenzialismo, ma anche
sulla giustizia.
La proposta non ha avuto molta fortuna, ma ha fatto in tempo a suscitare
l’ira di Francesco Cossiga che certo non gradisce alcun tentativo di resurrezione
della Bicamerale. In ogni caso l’iniziativa ha raccolto l’adesione, non
si sa quanto
convinta, di Massimo D’Alema, anche lui reduce da un incontro al Quirinale.
Ma è naufragata sul prevedibile rifiuto del Polo, nonché
sugli ostacoli della legge costituzionale: il testo varato dalla Bicamerale
non può essere ridiscusso di fronte
alla medesima commissione, ma solo in Parlamento. Come sempre la procedura
nasconde la politica. Se ci fosse la volontà, a sinistra come a
destra, di tornare alla Bicamerale, gli scogli legislativi sarebbero aggirati.
Ma se ci fosse questa
volontà, non saremmo al punto in cui siamo e le soluzioni si
troverebbero in Parlamento.
Il no di Berlusconi (e di Fini) ha obbligato Marini a ricorrere a una
subordinata. Anziché il rinvio formale del testo alla commissione,
una meno impegnativa «sospensione» di qualche giorno o qualche
settimana. Una sospensione per la quale non serve un voto in Aula, bensì
un accordo tra gentiluomini: il che può risultare persino più
difficile. Non si tratta di riaprire il portone della Bicamerale, bensì
più semplicemente la porticina dell’ufficio di presidenza. Come
dice Buttiglione, si deve «ibernare» il dibattito sulle riforme,
congelarlo in attesa di tempi migliori. In sostanza, si creerebbe un’area
di rispetto all’ombra della quale i vari mediatori tenterebbero l’impossibile
ricucitura. E il senatore Leopoldo Elia è stato abbastanza sincero
da lasciar trapelare che il Ppi, in cambio di un sì di Berlusconi
alla sospensiva, accetterebbe di parlare di «premierato» anziché
di semi-presidenzialismo.
Tutto questo non avvicina la soluzione del rebus, anzi la allontana.
Dal punto di vista tattico l’unica cosa che il presidente di Forza Italia
non può fare in questo momento è alimentare la corsa verso
il «grande centro». Proprio perché
l’operazione è reale, essa deve seguire un certo ritmo, senza
fughe in avanti. Berlusconi prima ha spezzato l’architettura della Bicamerale,
poi si è fermato per non allontanarsi troppo da Fini. Oggi quel
che resta dell’unità del Polo si fonda sul rifiuto di accomodamenti
dell’ultima ora. Qui Fini può esercitare la sua residua influenza.
Così come Berlusconi deve dare al suo vecchio alleato qualche garanzia.
La prima è che Forza Italia non intende cedere alle lusinghe
di Franco Marini, nemmeno (anzi, soprattutto) se quest’ultimo fa balenare
l’esca del cancellierato. Il nuovo Centro a cui guarda Berlusconi è
una prospettiva di medio termine e richiede una certa capacità di
giocare bene tutte le carte. Rompere di nuovo il Polo per inseguire un’improbabile
apertura del Ppi rischia di compromettere la sostanza dell’operazione a
cui guarda Berlusconi. Ecco perché il Polo e anche il suo capo restano
negativi di fronte agli sforzi di Marini.
Tutto questo non significa che oggi non possa essere decisa una sospensione
tecnica di qualche giorno. Può accadere, magari ad opera del presidente
della Camera e dei capigruppo (e qui si dovrà verificare la posizione
di Rifondazione).
Ma ieri sera prevaleva la sensazione che ormai i giochi siano fatti
e che anche gli irriducibili debbano rassegnarsi. La Bicamerale è
finita e il rischio è che l’epilogo avvenga tra clamorose invettive
e un vociare invocante l’Assemblea costituente. E’ proprio lo spettacolo
che D’Alema vuole evitare. Almeno questo. E forse Berlusconi e Fini possono
risparmiarglielo.
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