La
deregulation prefigurata dal Governo per gli Ordini annuncia una riscrittura
del Ddl Mirone
da Il Sole 24 ore del 2.7.99
MILANO — Ogni promessa è debito. E quel che il presidente del
Consiglio, Massimo D’Alema, aveva promesso agli Ordini nell’incontro del
16 marzo, è stato puntualmente onorato nella bozza del documento
di programmazione economica e finanziaria, esaminata mercoledì dal
Consiglio dei ministri. Peccato però che, agli orecchi degli Ordini,
quelle intenzioni liberalizzatrici suonino come una minaccia, e delle peggiori,
finendo per scavalcare il faticoso processo di concertazione che aveva
portato al disegno di legge presentato un anno fa. E che già era
stato messo a dura prova dal progetto di riordino dei ministeri (si veda
l’intervento in questa stessa pagina).
Il Governo, si legge nella bozza del Documento (unico testo disponibile
fino alla tarda serata di ieri), ha avviato la fase istruttoria per adottare
un nuovo testo di riforma più completo del Ddl Mirone, tenendo conto
delle indicazioni dell’Antitrust (riassunte nel box). Il Ddl, prosegue
il paragrafo intitolato alla liberalizzazione degli Ordini, intende eliminare
i vincoli amministrativi che limitano la concorrenza e garantiscono rendite
di monopolio a molte professioni liberali. Intende inoltre individuare
le esigenze di tutela dei consumatori che richiedono l’istituzione di un
Ordine.
«Sbalorditivo», è il commento di Gianni Boeri, presidente
del Cup, il comitato unitario delle professioni. «Noi restiamo tuttora
convinti che le consultazioni annunciate dal presidente del Consiglio ci
saranno, e che le iniziative per correggere la Mirone non trascureranno
il contributo lealmente offerto dagli Ordini. Ma se si volessero raggiungere
obiettivi del tutto diversi, allora si sappia che le professioni sono in
stato di massima allerta, pronte a reagire».
La sorpresa per il veicolo scelto dal Governo è condivisa dal
presidente del Consiglio nazionale ragionieri, William Santorelli. «Dopo
quanto è accaduto con la riforma dei ministeri e l’annunciato rimescolamento
per la vigilanza sugli Ordini, è difficile non vedere una sorta
di accanimento in queste scelte: quasi che si volesse cogliere qualunque
occasione per far passare una linea e quindi adottarla come riferimento.
La competenza dell’Antitrust e l’equiparazione professioni-imprese sono
questioni tutte da discutere. Ci auguriamo che il Parlamento sappia respingere
questo tentativo di accreditare nel Dpef una simile prospettiva di riforma».
Caustico Francesco Serao, presidente dei dottori commercialisti: «Dieci,
cento, mille Bologna», ribatte Serao. «Se poi si vorrà
pensare che i risultati elettorali non dipendano anche da certe scelte
nei confronti delle categorie professionali...». Il presidente dei
dottori commercialisti rifiuta «sia il metodo sia il contenuto dell’intervento».
«Ma si sappia — aggiunge — che simili uscite hanno avuto finora il
solo effetto di renderci più uniti».
Albi, Casse e sindacati danno appuntamento a martedì, quando
si riunirà il coordinamento delle professioni. Ma già da
ieri il Consiglio dei ragionieri ha inviato una lettera ai segretari di
partito e ai presidenti dei gruppi di Camera e Senato. Mentre la senatrice
Maria Grazia Siliquini (An) ha già bocciato il «nuovo attentato
alla libera professione», annunciando che «An si metterà
di traverso contro l’indicazione del Dpef».
La riscrittura della riforma, per ora, raccoglie consensi solo tra
le associazioni: dalla Lapet (libera associazione periti ed esperti tributaristi)
e dai tributarsiti riuniti dall’Ancit. Agli Ordini, invece, certe affermazioni
non sono prorpio andate giù: «Certo che — commenta amaro Boeri
— in un paese come il nostro, primatista mondiale delle rendite di posizione,
è difficile voler vedere solo i liberi professionisti come gli untori
di questo terribile morbo...».
Mauro Meazza
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