L’Antitrust:
separare i ruoli
da Il Sole 24 ore del 2.11.98
Superare la natura ambigua degli Ordini, che abbinano alla tutela di
interessi pubblici (la tenuta degli Albi, il controllo deontologico sugli
iscritti e così via) la politica in favore della categoria. La richiesta
dell’Antitrust, formulata nell’indagine sulle libere professioni terminata
nell’ottobre 1997, è diventata familiare nel dibattito che si è
succeduto in questo anno. Tanto che non se ne è potuto prescindere
nell’elaborare il disegno di legge 5092, la riforma del settore, approvata
dal Governo Prodi il 3 luglio scorso.
Infatti, nella relazione di accompagnamento al Ddl si chiarisce che
il ruolo degli Ordini è la tutela dell’utente, attraverso la qualificazione
degli iscritti e il livello delle prestazioni. Un compito che non può
coesistere con azioni di lobby o di pressing a favore della categoria.
Si tratta —beninteso — di funzioni legittime per i sindacati, o per le
libere associazioni, che dovrebbero costituire, insieme con gli Ordini,
l’altro binario su cui dovrebbe reggersi il futuro sistema professionale.
La distinzione dei ruoli — la rappresentanza di categoria ai sindacati
e la tutela dell’interesse pubblico agli Ordini — sembra dunque essere,
in filigrana, uno dei principi ispiratori del disegno di legge 5092. Tuttavia,
è stato osservato da più parti e non solo in ambienti della
sinistra, il Ddl contiene principi generalissimi e, in alcuni casi, ambigui.
Se non si pone rimedio, questa caratteristica, in fase di attuazione, potrebbe
mortificare gli elementi più innovativi a vantaggio della continuità.
E, in questo caso, come ha sottolineato l’Antitrust nella relazione,
la tradizione non si concilia con le potenzialità del settore. Di
fronte alla globalizzazione e alla liberalizzazione dei mercati sono anacronistici
i vincoli, quali le limitazioni all’accesso, il proliferare di attività
in esclusiva, le tariffe minime e massime inderogabili eccetera.
Questi meccanismi erano stati giustificati in nome dell’interesse pubblico.
Per l’Antitrust non va infatti dimenticato che: «Gli Ordini... sono
nati storicamente come ordinamenti giuridici privati in risposta a esigenze
di mercato e a difesa degli interessi del gruppo di appartenenza e solo
successivamente sono stati inglobati nell’ordinamento generale e sussunti
nella disciplina pubblicista, attraverso la trasformazione dei gruppi sociali
in enti pubblici indipendenti e autonomi sotto la sorveglianza dello Stato».
Da questa genesi, che risale alle corporazioni del 1300-1400, risultano
effetti distorsivi, in quanto gli Ordini sono caratterizzati da «un
misto di statalismo e di autonomia», che si concretizza «nel
perseguimento di interessi del proprio gruppo di appartenenza con poteri
autoritativi discendenti dalla loro entificazione pubblica e ha lo scopo
di conservare tali poteri per la tutela di interessi pubblici».
M.C.D.
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