Paciotti:
il ministro limita la libertà d’espressione
da Il Corriere della sera del 2.10.98
C. B.,
MILANO - Sarà anche una battaglia sui principi costituzionali,
ma il presidente dell’Anm Elena Paciotti chiarisce come quella appena cominciata
intorno ai casi disciplinari Greco e Davigo sia anche una battaglia sul
destino dei singoli e, in qualche modo, dell’intero pool di Milano. «L’Anm
- spiega il magistrato - non condivide le scelte eccessivamente restrittive
di Flick sull’interpretazione dei limiti alla libertà di espressione
dei magistrati».
Poche parole, ma sufficienti. Soprattutto se lette alla luce dell’impugnazione
dell’assoluzione di Francesco Greco e delle trenta righe tipografiche,
sempre a firma del ministro, datate 13 luglio, ma della cui esistenza si
è appreso ieri. Trenta righe per motivare un’azione disciplinare
che, dopo Francesco Greco e Gherardo Colombo, trascina di fronte al Csm
un
altro magistrato simbolo del pool, Piercamillo Davigo, portando a tre
su cinque i pm di Mani Pulite sub iudice. Il tono è durissimo, calibrato
sullo spessore delle accuse: lesione dei diritti politici di Silvio Berlusconi
e «del prestigio interno e internazionale dello Stato».
La vicenda, nota per le polemiche che ne scaturirono, risale al 28
giugno scorso, quando sul quotidiano Usa in lingua italiana America oggi,
appare un’intervista del magistrato milanese. Davigo - questo il passaggio
chiave - nel difendere la legittimità della scelta del pool di notificare
il primo avviso di garanzia a Silvio Berlusconi, allora presidente del
Consiglio,
durante il celebre Convegno dell’Onu sulla criminalità a Napoli,
eccepisce che se qualche cosa dove essere rimproverato non è al
pool, ma allo stesso Berlusconi. Si chiede infatti retoricamente il pm:
«Una persona nella situazione di Berlusconi, già sottoposta
a procedimenti penali molto gravi, deve esporsi a presiedere una conferenza
internazionale?
Deve esporre il prestigio del Paese?».
Di quelle parole, Flick aveva chiesto conto. Ma la replica di Davigo
non aveva fatto altro che ribadire il senso di una valutazione in cui il
magistrato credeva e crede. Una replica che aveva, se possibile, aumentato
l’irritazione del ministro, convincendolo dell’opportunità di esercitare
l’azione disciplinare. Fino al punto di motivarla con una dovizia di contestazioni
ignote per la loro durezza ai precedenti procedimenti aperti nei confronti
del pool. Si legge: «Il magistrato: a) ha mancato gravemente e ingiustificatamente
ai propri doveri di ufficio; b) si è posto in aperto contrasto con
le indicazioni in materia di esternazioni da me enunciate; c) ha violato
non solo il dovere di riservatezza sugli affari in corso in modo da ledere
i diritti altrui (quelli di Berlusconi, n.d.r.) ma ha anche strumentalmente
abusato della sua qualità di magistrato che ha indagato e conduce
indagini nei confronti di un parlamentare ed ex presidente del Consiglio;
d) ha operato un’inammissibile interferenza in procedimenti in fase dibattimentale;
e) ha leso il prestigio interno e internazionale dello Stato».
Ieri pomeriggio Davigo, nell’apprendere dell’esistenza del procedimento
a suo carico, è apparso profondamente colpito.
Nessuna dichiarazione, ma nel suo volto, così come in quello
di Greco, si è colto il segno di una preoccupazione per gli effetti
che i due provvedimenti di Flick potrebbero produrre di qui a breve e che
sono stati oggetto di una riunione con Borrelli e D’Ambrosio.
Sotto il peso di questa azione disciplinare Davigo potrebbe infatti
essere costretto a doversi astenere dal prossimo processo che lo dovrebbe
vedere rappresentante dell’accusa in aula nel processo Previti-Squillante.
I riferimenti di Flick alla lesione dei diritti politici di Berlusconi
si prestano infatti oggettivamente a un’ovvia eccezione difensiva. Che
un pm
così bollato dall’azione disciplinare non assicuri sufficienti
garanzie.
A condividere le preoccupazioni di Davigo, Francesco Greco. Nel suo
caso, l’impugnazione in Cassazione della sua assoluzione non dovrebbe provocare
alcuna conseguenza sulla conduzione di indagini e processi in corso. Ma
certamente complica, sia pure di riflesso, il prossimo futuro di Gherardo
Colombo. Nei confronti di quest’ultimo pende infatti al Csm un procedimento
per l’intervista rilasciata la scorsa primavera al Corriere. L’ormai noto
ragionamento sulla «società politica del ricatto» che
tuttora condizionerebbe l’uscita del Paese dalla spirale della corruzione.
Ebbene, il caso di Colombo, al pari di quello di Greco e di Davigo, presenta
lo stesso profilo disciplinare: fino a che limite è lecito manifestare
una propria opinione? Di qui un dubbio: che la risposta di un Csm di nuova
nomina, stante l’insistenza di Flick, possa questa volta non essere assolutoria.
Insomma, un quadro di forte preoccupazione, segnato dalla soddisfazione
del Polo, e di cui è spia in serata la protesta di Borrelli per
un sussurro strappatogli dall’Ansa nell’atto di apprendere il nuovo quadro
delineato dalle iniziative di Flick («Davigo si difenderà»).
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