E
Borrelli sussurra: si difenderà
da La Stampa del 2.10.98
MILANO
L a tentazione è forte, irresistibile. Così, quando un
Piercamillo Davigo più accigliato del solito, schizza letteralmente
fuori dal suo ufficio con in mano l’atto d’incolpazione firmato dal Guardasigilli
Flick, la domanda che lo insegue è questa:
“Il ministro preferito dal suo ex capo chiede la sua testa, vuole commentare?”.
Davigo s’immobilizza, gira la testa, tentenna per un microsecondo. Potesse,
incenerirebbe con lo sguardo. Poi scandisce: “No-com-ment”. A quali conseguenze
potrebbe andare incontro, dottore? “Che vuole che ne sappia? Bisognerebbe
chiederlo al ministero. Io non ho altro da aggiungere”. E velocissimo raggiunge
il collega Francesco Greco, la direzione è quella per l’ufficio
del procuratore.
Quell’aria finto idilliaca che si respirava fino a 24 ore prima nella
procura più irrequieta d’Italia, a metà pomeriggio diventa
all’improvviso soffocante: Borrelli se ne va e il ministro di cui aveva
appena finito di tessere le lodi, ringrazia chiedendo un procedimento disciplinare
per uno dei pm storici del pool con atto d’incolpazione di una durezza
mai vista. Dunque lo stesso procuratore, che nel primo pomeriggio aveva
smentito voci e ipotesi di una supposta smobilitazione del pool dopo la
sua uscita (“la guerra continua” - ha detto citando una frase di Badoglio
- ma non fraintendetemi eh, non è un proclama guerrafondaio”), rimane
piuttosto impensierito mentre legge i lanci di agenzia che raccontano le
accuse del ministro a Davigo. Ma sceglie di non replicare, salvo mormorare,
secondo le stesse agenzie, un impercettibile “si difenderà”, riferito
a Davigo. Frase che più tardi però, lo stesso Borrelli, piuttosto
irritato, smentirà di aver mai detto. Segno di una tensione crescente
che i sismografi della procura rilevano con il precisarsi delle accuse
a Davigo, definite da più di un collega “parecchio scivolose”.
Tre pagine fitte dove in pratica si accusa il “dottor sottile” di aver
leso, con una sua intervista rilasciata nel giugno scorso al quotidiano
italo-americano “America oggi”, i “diritti” di Berlusconi e “in maniera
indiscutibile ed evidente” il “prestigio interno e internazionale dello
Stato e delle sue istituzioni”. In altre parole di aver violato uno dei
primi doveri di un magistrato: quello di non parlare mai dei propri imputati,
soprattutto se sono stati presidenti del Consiglio. Una norma che Davigo
ha ben presente, tanto che quando smentì di aver mai detto al quotidiano
americano che “Berlusconi era già stato condannato per falso in
bilancio” e che quindi, avendo presieduto nel ‘94 a Napoli la conferenza
internazionale sulla criminalità, aveva esposto il “prestigio del
Paese” a gravi rischi, rettificò il tiro:
“Non sotto il profilo della legittimità, ma sotto quello dell’opportunità.
Berlusconi sapeva di essere oggetto d’indagini e pertanto avrebbe dovuto
astenersi dal presiedere quella assise”. Frase che secondo alcuni in realtà
avrebbe peggiorato la situazione. Mentre secondo altri seguiva semplicemente
la logica, sempre spietata ma lucida, di un inquirente del calibro di Davigo.
Tra i pm del pool le reazioni all’iniziativa di Flick sono contrastanti:
c’è chi sdrammatizza ricordando che, in fondo, alle azioni disciplinari
del ministero i pm milanesi dovrebbero averci fatto il callo. “Anche se
- dice Francesco Greco - so che Davigo ci soffre, perché è
tra noi il magistrato più magistrato, più istituzionale.
E per lui finire sotto inchiesta disciplinare è un vero colpo”.
Chi invece s’indigna, allargando il ragionamento al fuoco di fila cui da
anni è sottoposto il pool: “Se esistono criteri e diritti uguali
per tutti, allora dire ciò che pensiamo diventa un dovere civile.
Non è possibile per una magistratura essere indipendente e vivere
in un Paese dove chiunque, a partire dai parlamentari, può ricoprirci
d’insulti ai quali ci è vietato replicare”. Chi, infine, si affida
alla buona sorte, come fa il procuratore aggiunto Gerardo D’Ambrosio: “Tutte
le azioni esercitate finora dai ministri per fortuna sono finite nel nulla”.
Non tutte, a dire il vero. Pende ancora davanti al Csm l’azione disciplinare
promossa contro Gherardo Colombo per la famosa intervista sulla “società
del ricatto” e secondo voci di corriodio, il Guardasigilli si starebbe
apprestando ad impugnare l’assoluzione di Greco che paragonò l’azione
del governo dell’Ulivo sulla giustizia a quelle del peggior Craxi della
prima Repubblica. E ora tocca a Davigo che potrebbe affidare la sua difesa
al procuratore di Torino, Cono Maddalena, suo vecchio amico. Le conseguenze
potrebbero essere molteplici: si va dall’ammonizione alla censura, dalla
sospensione dello stipendio, alla retrocessione di carriera, fino alla
sospensione delle funzioni, anticamera della radiazione. Ieri Davigo stava
già cominciando a preparare la sua autodifesa.
Paolo Colonnello
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