Nuovo
scontro tra Industria e Giustizia sul Ddl-società
da Il Sole 24 ore del 2.10.98
(DAL NOSTRO INVIATO)
NAPOLI — «Le società professionali, di persone o di capitali,
devono essere composte solo da professionisti. La delega al Governo contenuta
nel disegno di legge di riforma degli Ordini è un buon punto di
partenza ma siamo disponibili a specificarne meglio i contenuti».
Antonino Mirone, sottosegretario alla Giustizia, è intervenuto a
Napoli nella giornata di apertura del 31° congresso nazionale dei dottori
commercialisti. E ha contrapposto, senza giri di parole, il disegno di
legge di riforma delle professioni, e la delega sulle società là
prevista, «all’emendamento presentato da Bersani al disegno di legge
3369» in discussione alla commissione Industria di Palazzo Madama.
«Nel Governo ci sono posizioni diverse — ha ammesso Mirone — ma il
ministero della Giustizia conferma l’orientamento che si è concretizzato
nel disegno di legge di riforma».
Lo stralcio per disciplinare l’esercizio collettivo delle professioni
intellettuali viene dunque bocciato. Se andasse in porto, l’attività
professionale — secondo Mirone — verrebbe equiparata a quella di impresa.
Al contrario, il disegno di legge aveva affermato l’irriducibilità
dei due poli. Sull’ammissibilità dello stralcio si dovrà
ora pronunciare il presidente del Senato, Nicola Mancino. La pregiudiziale
presentata da An si riferisce alla competenza della commissione Industria
ad affrontare la materia e, nel merito, allo strumento utilizzato, uno
stralcio che affiderebbe “carta bianca” al Governo.
Sul fronte opposto a quello della Giustizia, il ministero dell’Industria
bolla la questione pregiudiziale come un’operazione politica per «anestetizzare
la riforma, dietro a cui ci sono interessi corporativi». Lo stralcio
— è la tesi dell’Industria — tratta di società e la sede
per discuterne è legittimamente la commissione Attività produttive.
Sulla questione delle professioni la mediazione all’interno del Governo
sembra dunque aver fatto il suo tempo. «Gli Ordini — ha affermato
Mirone, guadagnando l’applauso della platea — sono stati oggetto di accuse
infondate: io non ho riscontrato chiusure corporative, visto che sono tutti
d’accordo sul ruolo di garanzia per il cittadino circa la qualità
della prestazione. In quest’ottica vanno affrontati i temi delle tariffe
e delle società».
I soci non professionisti avrebbero effetti devastanti sulla categoria,
ma soprattutto «quale garanzia per l’interesse pubblico potrebbero
rappresentare», aveva chiesto provocatoriamente l’ex presidente dei
dottori commercialisti, Giuseppe Bernoni, all’inizio della tavola rotonda
sulle conseguenze della globalizzazione. «La patologia — ha incalzato
il presidente del Consiglio nazionale forense, Nicola Buccico — è
nella “bersanite” acuta», insomma nella pervicace volontà
di liberalizzare a tutti i costi, nonostante l’interesse pubblico. Se c’è
stato feeling con il ministero della Giustizia, per il resto, il congresso
non è stato tenero con la politica del Governo. «La Finanziaria
— ha commentato il presidente dei commercialisti, Francesco Serao, nel
discorso di apetura — non prevede alcun alleggerimento della pressione
fiscale. L’ipotesi di ridurre le tasse con il recupero dell’evasione, che
va considerato un atto dovuto in ogni caso, resta un provvedimento misterioso».
Inoltre, i propositi di lotta all’evasione faranno poca strada. «Il
fenomeno — secondo Serao — non può essere combattuto a suon di indagini
o di comunicati stampa, ma perseguendo costantemente gli obiettivi di semplificazione,
trasparenza e chiarezza, assieme alla riduzione della pressione fiscale
per le imprese». Insomma, anche l’ultima iniziativa annunciata
dal ministro delle Finanze, Vincenzo Visco, sui controlli a tappeto delle
dichiarazioni Irap è poco più di una «boutade».
Al contrario il Governo non persegue l’unica strada efficace per reagire
al preoccupante andamento dell’economia. «La riduzione delle aliquote
per ampliare la base imponibile può essere — ha spiegato Serao —
la base di un nuovo patto sociale tra Stato e imprese. Il rallentamento
della crescita italiana, infatti, dipende molto poco dalla crisi asiatica
e molto più dai deficit strutturali della politica economica, primo
fra tutti il peso fiscale».
Maria Carla De Cesari
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