Scalfaro: «Basta con i magistrati 007»

da Il Corriere della sera del 2.10.98

Giuliano Gallo 
ROMA - Il «magistrato 007» non è figlio del nuovo codice di procedura, ma ne è una patologia. Così come patologiche vanno considerate tutte le «invasioni» commesse dai pubblici ministeri. Questa è l’opinione di Oscar Luigi Scalfaro. Un riferimento chiaro alle eterne polemiche sui metodi di qualche pubblico ministero di Mani Pulite, ma anche e soprattutto al recente «caso Alletto». Cioè a quell’interrogatorio di una testimone del delitto Marta Russo, ripreso da una telecamera, che ha indignato e scosso mezza Italia. 
Lo aveva già detto qualche settimana fa a Roma, lo ha ripetuto ieri a Perugia: per il presidente della Repubblica è ora che tutti, politici e magistrati, tornino nei ranghi. Con una precisazione importante, però. «Il mondo politico, il Parlamento, può anche dire che è tutto chiuso, che è passato un periodo che ha avuto patologie varie. Ma questo non vuol dire basta con i processi se ci sono state cose illecite. Facciamo tutti i processi, certo. Ma soprattutto - ammonisce Scalfaro, rivolto alla magistratura - non vediamo questo rientro sul binario come se il magistrato venisse privato illecitamente, da parte del mondo politico, dei suoi poteri». 
Delle distorsioni comunque ci sono, e ci sono state, secondo il presidente: «Il passaggio del magistrato a “magistrato 007” non discende obbligatoriamente dalla riforma. Anzi è una patologia della riforma perché se un punto era uscito fuori in maniera ineccepibile, questo era la terzietà del giudice». Perché per Scalfaro «il processo è una mannaia che scende a
metà: metà al giudice e metà alla difesa». 
Quanto all’istituzione di una commissione d’inchiesta su Tangentopoli, è faccenda sulla quale i magistrati non debbono mettere becco: «Non si può negare che il “tema Tangentopoli” attiene ai politici». Per il presidente semmai si tratta di chiedersi come mai l’intervento dei magistrati sia iniziato con tanto ritardo: «Quando la procura di Milano ha iniziato a muoversi, c’è stato una sorta di movimento a catena». In ogni caso quella stagione è finita, riflette il capo dello Stato. E dunque si può anche andare a studiare politicamente quella stagione. «Quando si passano certe curve storiche, allora si può anche voltare pagina». 
Ma la partita tra politica e toghe non sembra destinata a chiudersi tanto presto: proprio ieri è stato presentato infatti un disegno di legge che prevede una separazione netta, nettissima, fra la carriera di pubblico ministero e quella di giudice. Il progetto è stato promosso da Marcello Pera di Forza Italia e firmato da esponenti del Polo, dell’Udr e di Rinnovamento,
una delle forze che sostengono la maggioranza di governo. Anche se Marianna Li Calzi, responsabile giustizia di Ri, si è affrettata a precisare che sono adesioni che «non impegnano il partito». Tra i firmatari, anche l’ex presidente Giovanni Leone. 
Il progetto Pera (un modo «per allineare l’organizzazione giudiziaria italiana a quella di altre democrazie continentali e anglosassoni») ipotizza una separazione che nasce addirittura al momento in cui il futuro magistrato indossa la toga: due distinti concorsi per due carriere destinate a non incontrarsi mai. Per formare i nuovi pm, o i nuovi giudici, nel disegno di
legge è prevista la formula dei «corsi-concorsi» che, spiegano i presentatori del progetto, «possono essere svolti anche da un unico organismo, dal momento che sarebbero diretti ad aspiranti non ancora inquadrati nei due distinti ruoli». 
Per quelli che magistrati lo sono già, un anno di tempo per scegliere da che parte stare. In ogni caso chi preferisce cambiare ruolo, prevede il disegno, non potrà esercitare nello stesso distretto per almeno cinque anni.