Assolto
il giudice Pasquale Barreca. Il Tribunale: ‘Non favorì i mafiosi’
da Il Giornale di Sicilia del 30.6.98
CALTANISSETTA. (gm)’Assolto perchè il fatto non sussiste’. Così
il Tribunale di Caltanissetta ha dichiarato innocente, nella tarda serata
di ieri, l’ex presidente della Corte di Assise d’Appello di Palermo, Pasqualino
Barreca, dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Una sentenza
emessa dopo oltre sei ore di camera di consiglio. Una sentenza letta in
un’aula, dove erano presenti soltanto l’avvocato difensore, Francesco Crescimanno
e il rappresentante dell’accusa, il sostituto procuratore Roberto Condorelli.
Quest’ultimo, che aveva chiesto la condanna dell’imputato a quattro anni
e mezzo di reclusione
ha laconicamente commentato: ‘Leggeremo le motivazioni della sentenza,
per verificare se esistono i presupposti per il ricorso in appello. Già
una volta l’imputato era stato prosciolto e poi rinviato a giudizio su
nostro appello, vedremo’. Naturalmente diversi i sentimenti espressi dalla
difesa. Visibilmente soddisfatto l’avvocato Crescimanno che ha subito informato,
per telefono, Pasqualino Barreca dell’esito del processo. Il giudice Barreca,
infatti, non ha voluto essere presente alla lettura della sentenza.
‘La formula assolutoria - ha sostenuto a caldo l’avvocato Crescimanno
- accoglie la tesi della difesa, cioè che le propalazioni dei collaboratori
di giustizia hanno trovato smentita nell’attività giudiziaria del
presidente Barreca, al quale, oggi, con questa sentenza, viene restituita
la giusta onorabilità di uomo e di magistrato’. Sì, i pentiti.
Il Tribunale, presieduto da Antonina
Sabatino, non ha accolto la loro tesi. In diversi, quasi una quindicina,
avevano puntato l’indice accusatore contro Barreca.
Quasi tutti avevano sostenuto che il magistrato ‘aveva aiutato Cosa
nostra’. Una storia lunga e controversa quella dell’ex giudice Pasqualino
Barreca. Prima le accuse dei pentiti. Poi la richiesta di rinvio a giudizio
da parte dei magistrati della Procura di Caltanissetta. Poi ancora l’udienza
preliminare ed il proscioglimento da parte del Gup. Infine il ricorso del
pubblico ministero Roberto Condorelli, l’accogliemento e il conseguente
processo. Era il 1993, precisamente il mese di febbraio, quando per l’ex
presidente della Corte di Assise di Appello di Palermo sono cominciati
i guai giudiziari. Fu il pentito Gaspare Mutolo il primo a lanciare le
accuse. Secondo il collaboratore avrebbe manifestato disponibilità
per assicurare ad esponenti di Cosa nostra l’esito favorevole di alcuni
procedimenti penali istruiti contro esponenti dell’organizzazione mafiosa.
Subito dopo le dichiarazioni di Mutolo si sono aggiunte le ‘cantate’ di
altri collaboratori, tra gli altri Balduccio Di Maggio, Francesco Marino
Mannoia, Salvatore Cancemi, Mario Santo Di Matteo, Gaetano Lima, Vincenzo
Calcara, Rosario Spatola e infine Giovanni Brusca.
Dichiarazioni che indicavano il giudice Pasqualino Barreca come ‘avvicinato’
all’organizzazione mafiosa. Un giudice, insomma, che avrebbe non solo ‘aggiustato
i processi, ma anche costituito un punto di riferimento per Cosa nostra
alla quale ha fornito - secondo quanto affermato dall’accusa - consigli,
anticipazioni ed assicurazioni ai soggetti mafiosi sull’esito dei processi
o di altri procedimenti giudiziari, e ha assunto, laddove era possibile,
orientamenti in favore di alcuni indagati o imputati’. Era andato oltre
il pubblico ministero. Nella sua requisitoria aveva affermato: ‘Occupando
una posizione di prestigio all’interno degli uffici giudiziari di Palermo
era divenuto, per l’organizzazione criminale, quello che garantiva i provvedimenti
più favorevoli’. Di parere nettamente contrario il difensore, che
ieri mattina, in una accorata e sentita arringa ha smontato punto per punto
le accuse mosse dai collaboratori di giustizia: ‘Tutti parlano per sentito
dire - ha detto Crescimanno - nessuno ha una conoscenza diretta di un fatto.
Marino Mannoia afferma che era stato operato un intervento in suo favore
presso il giudice Barreca, ma non ricorda se fu in un processo di primo
o secondo grado. Balduccio Di Maggio ha riferito in termini generici e
privi di riscontro oggettivo che Bernardo Brusca gli aveva mandato a dire
di andare da Giovanni Matranga (indicato come uomo d’onore di Piana degli
Albanesi) per chiedergli di recarsi dal giudice Barreca, ma non è
stato in grado di precisare l’epoca del fatto. Giovanni Brusca ha poi detto
che era Matranga che si interessava dei processi e non era lui che seguiva
le vicende giudiziarie del padre Bernardo’. Solo ‘sentiti dire’ secondo
l’avvocato e il ‘sentito dire - ha aggiunto - non può costituire
prova, al contrario delle sentenze, pesanti sentenze di condanna emesse
dal giudice Barreca nei confronti di mafiosi e anche di alcuni che ora
si dichiarano collaboratori di giustizia’. Secondo la tesi della difesa,
quindi, non c’erano prove e al termine dell’arringa l’avvocato Crescimanno
ha chiesto l’assoluzione per il suo assistito ‘perchè il fatto non
sussiste e in subordine perchè il fatto non è stato commesso’.
Il Tribunale gli ha dato ragione.
Giuseppe Martorana
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