Testi unici, strada faticosa e oscura per razionalizzare la legislazione 

da Il Sole 24 ore del 30.7.98

di MarcelloClarich
Il disordine legislativo è un male cronico del nostro Paese. Costituisce anzi uno dei fattori che ci rendono poco competitivi in un contesto di integrazione e di globalizzazione dei mercati. Certezza, semplicità e stabilità del quadro normativo, specie nei rapporti con la Pubblica amministrazione (Fisco incluso), condiziona infatti le scelte di investimento delle imprese. Del resto come già osservava all’inizio del secolo Max Weber, una cornice normativa ben strutturata è un elemento costitutivo del capitalismo razionalizzato.
Eppure la «parola magica» per risolvere il problema è sulla bocca di tutti:
testi unici. Non c’è ormai convegno, rivista specializzata, commissione di studio governativa (a partire dalla commissione Giannini di riforma della Pubblica amministrazione del 1979) nel quale non venga pronunciata.  D’altra parte, come conferma un sondaggio della Swg presentato al Forum della Pubblica amministrazione di quest’anno, elevatissima è la richiesta dei cittadini e degli operatori nei confronti di una normativa chiara.
Non solo. La semplificazione legislativa per mezzo di testi unici è un obiettivo condiviso da tutte le forze politiche. Nel 1994 il Governo Berlusconi nominò una commissione di esperti per la redazione di testi unici. La legge Bassanini 1 (n. 59/1997) obbliga il Governo a proporre ogni anno al Parlamento «norme di delega… necessarie alla compilazione di testi unici legislativi o regolamentari». In più conferisce al Governo una delega di utilizzo immediato per la predisposizione di testi unici nei settori economici (industria, commercio, artigianato, servizi).  Eppure, se si guarda al panorama degli anni Novanta, ci si accorge che la realtà è ben diversa dai buoni propositi. Tra i pochi esempi significativi di testi unici vi è quello bancario (Dlgs 375/1993) e quello sui mercati mobiliari (Dlgs 58/1998). Si è aggiunto ora quello sull’immigrazione.  Ma perché la redazione dei testi unici procede a rilento sia a livello statale sia a livello regionale? Intanto, si tratta di un lavoro oscuro ed estremamente tecnico, che non dà lustro ai politici alla ricerca di un’immagine effimera. Solo i grandissimi, da Giustiniano a Napoleone, sono stati sensibili ai temi della legislazione (codificazione). Inoltre, è un lavoro impegnativo che richiede tempo, risorse e competenze tecniche e giuridiche di cui le amministrazioni sono carenti o che esse impegnano su altri fronti più legati alle emergenze quotidiane.
Per riordinare, settore per settore (per esempio l’ambiente), la matassa delle leggi e leggine accumulatesi nel corso dei decenni, occorre anzitutto una ricognizione completa delle fonti vigenti. Già questa operazione si scontra con l’incertezza sul numero delle leggi vigenti (trentamila, secondo le stime più recenti). Ma senza questo dato di partenza, il Testo unico poggia su basi di sabbia. Ciò perché esso ha senso solo se fa davvero «piazza pulita» delle norme precedenti. L’elenco delle norme abrogate deve essere, cioè, esaustivo in modo da garantire all’operatore che non spuntino all’improvviso fuori dal Testo unico disposizioni «dimenticate» che qualche burocrate o giudice zelante continua ad applicare.
I Testi unici presuppongono poi che un certo assetto normativo abbia assunto una configurazione stabile e definitiva. Là dove la normativa è soggetta ancora a oscillazioni, ripensamenti o stravolgimenti ha poco senso impegnarsi a riordinare una matassa destinata ad arruffarsi di lì a poco.
Tutto questo non deve però suonare come il «de profundis» dei testi unici nel contesto attuale. Gli esempi recenti della Banca d’Italia e della Consob dimostrano che, in presenza di un impulso e impegno diretto da parte di apparati forti (quelli che applicano la normativa di settore), di risorse adeguate (comitati di esperti ai massimi livelli) e di esigenze davvero impellenti (le banche e la Borsa sono il cuore del sistema economico), l’operazione «testi unici» può avere successo.