Diliberto: o D’Alema o le elezioni 

da Il Corriere della sera del 30.11.99

«Confronto con Rifondazione, insieme alle urne con un programma di legislatura» 
ROMA - «O D’Alema o il voto anticipato». E’ così esplicito il ministro della Giustizia, che il tentativo di discutere su possibili, eventuali o solo ipotetiche subordinate non trova spazio. Anzi, più va avanti nel suo ragionamento, più Oliviero Diliberto ritiene di escludere che alle prossime elezioni il centro-sinistra possa avere un candidato premier diverso da D’Alema, «nonostante abbia il massimo rispetto e anche la massima convenienza a che il centro sia rappresentato nella coalizione, consapevole che la sinistra non ha mai avuto la maggioranza in Italia, nemmeno negli anni in cui il Pci era al 34%. Ed è logico che la sinistra, per poter governare, deve necessariamente accordarsi con il centro democratico, so che va fatto ogni sforzo per accordarsi, so che bisogna pagare anche dei prezzi altissimi - e io sono disposto a pagarli - pur di avere un largo schieramento di centro alleato con la sinistra».
Tuttavia l’esponente del Pdci mette un limite a quel prezzo, spiega che «la sinistra non può tornare a essere figlia di un dio minore», che D’Alema rappresenta «il punto di equilibrio più avanzato», pertanto «discuteremo con gli alleati con grande disponibilità», ma avendo ben chiara la rotta. E siccome la rotta è tracciata, Diliberto non nasconde le insidie della navigazione, «perché è vero che dal risultato delle suppletive il governo esce rafforzato, per la vittoria in sé nei cinque collegi, e perché a Bologna si è vinto con il candidato più autorevole del movimento dei Democratici. Ma non c’è dubbio che i problemi della maggioranza restano. Sono problemi di ordine politico-programmatico e di tenuta, che andranno sciolti al momento della verifica, cioè dopo la Finanziaria».
Prima o dopo il congresso dei Ds?
«Credo che la verifica, prima si fa, meglio è: il governo ha bisogno di un forte rilancio, che passa attraverso un nuovo patto di maggioranza e un riequilibrio interno alla compagine governativa. Prima risolviamo questi problemi, prima si può ripartire con un nuovo patto che impedisca al centro-sinistra di entrare ogni giorno in conflitto su ogni tema».
Ma la verifica si deve tenere prima o dopo il congresso ds?
«In larga parte dipende da come il presidente del Consiglio vorrà muoversi, perché è giusto che sia lui a dettare i tempi, è giusto che sia lui il titolare di questo potere-dovere. La mia opinione è che prima si fa, meglio è. E se D’Alema ritenesse di dover fare la verifica prima del congresso dei Ds...».
...Lei lo vedrebbe con favore.
«Io sono convinto che si debba fare il prima possibile».
E la verifica dovrebbe passare attraverso l’apertura formale della crisi?
«Fosse per me eviterei la crisi. Meglio sarebbe andare verso una soluzione concordata, controllata e guidata dai partiti della maggioranza. Si tratterebbe di un trauma in meno per la stabilità del Paese».
Ma impedirebbe alla coalizione di discutere anche il ruolo di D’Alema, che rimanendo alla guida del governo sarebbe di fatto il candidato premier del centro-sinistra alle prossime elezioni.
«Vorrei ricordare che l’attuale esecutivo è stato costruito sulla base di due movimenti convergenti: quello di Cossutta da una parte e quello di Cossiga dall’altra. Grazie a loro è nato il primo governo post guerra fredda, e questa maggioranza è la fotografia delle forze che hanno scritto la Costituzione. Ora, chi può aver titolo a guidare questo governo se non un uomo che viene dalla storia comunista? La legittimazione a guidare questo processo politico così ambizioso...».
Spetta unicamente a D’Alema?
«La mia opinione è che se il premier venisse sostituito sulla base di un retropensiero, e cioè che un politico proveniente dal mondo comunista non è legittimato a guidare il Paese e che ci sarebbe sempre bisogno di un esponente di centro per governare... Beh, questa motivazione sarebbe inaccettabile».
Insomma, D’Alema non si tocca.
«D’Alema va lasciato dov’è. Intanto perché finora ha ben governato, poi anche per queste motivazioni più di fondo, che rappresentano la vera cifra di questo governo. Altrimenti...».
Altrimenti?
«Altrimenti la soluzione più naturale sarebbe andare al voto anticipato».
Un bel rischio, visto l’alto astensionismo dell’elettorato di sinistra.
«Se dovessimo andare al voto senza una nuova legge elettorale, ritengo si dovrebbe aprire un confronto con Rifondazione. Si tratterebbe di verificare se esiste la possibilità di un’intesa di programma per un governo di legislatura».
E pensa che il centro della coalizione potrebbe accettare non solo un candidato premier di sinistra, ma anche un accordo con Bertinotti?
«Se il Prc accettasse il programma del centro-sinistra, non sarei contrario a un’intesa di governo. Di governo, sia chiaro, perché la stagione della desistenza è tramontata. Così com’è tramontata la stagione in cui la sinistra non poteva entrare nella stanza dei bottoni. Per questo non ritengo possibile che gli uomini della sinistra tornino a essere figli di un dio minore».
Neppure se D’Alema venisse sostituito con un altro «figlio» della stessa famiglia?
«Non vedo margini per altri tentativi. D’Alema è oggi la soluzione più avanzata possibile. Per questo penso che sarebbe meglio se lavorassimo per rafforzare questa esperienza. Intanto bisogna affrontare il tema del riequilibrio del governo, indispensabile dopo la nascita dei Democratici. E il riequilibrio deve tener conto della forza elettorale ma anche della forza parlamentare dei partiti».
E’ il trionfo del manuale Cencelli.
«Quel manuale nacque per stabilire gli equilibri interni alla Dc, oggi c’è un problema di coalizione. Che è una coalizione fatta di partiti con storie spesso profondamente diverse tra loro. E affinché tutti si sentano rappresentati è giusto che ci sia un’equilibrata distribuzione degli incarichi».
Sarebbe insomma la versione del manuale Cencelli applicato alle coalizioni.
«Allora il manuale veniva usato anche per spartirsi incarichi di potere nella società. Questo non lo stiamo facendo e non lo faremo. Dopodiché è logica democratica che ci sia una presenza nel governo di chi concorre a sorreggerlo. Ma il punto non è solo questo: c’è anche il problema della prospettiva politica. Se riusciremo ad arrivare alla scadenza naturale della legislatura, occorrerà individuare tre punti sui quali la coalizione marci compatta. Penso alle questioni sociali, al tema della scuola e della formazione, e infine a quello della sicurezza e della giustizia».
Lei punta su D’Alema, lo stesso presidente del Consiglio che non fa mistero di voler affrontare il nodo delle pensioni...
«Se vogliamo arrivare sino al 2001 senza altre fibrillazioni sarà meglio accantonare questo tema. Anche perché, sino al 2001, il governo non ha il dovere e, aggiungo, nemmeno il diritto di toccare il sistema previdenziale. Le pensioni vanno espunte dall’agenda politica dell’oggi».
Cancellando anche l’appuntamento del tavolo negoziale con le parti sociali?
«Sì, giudicherei la mossa politicamente sbagliata. Piuttosto va affrontato il nodo del lavoro e del Mezzogiorno, aumentando in questo caso gli investimenti pubblici e offrendo con maggiore oculatezza gli incentivi alle imprese private».
Inserendo anche la giustizia nei temi della verifica politica, non prevede scintille con Cossiga e Boselli?
«Il bilancio del mio ministero è largamente positivo. E tuttavia la maggioranza deve trovare un punto d’intesa sul rapporto tra politica e giustizia, che è il punto sul quale scoppiano sempre le risse. Io credo che un punto d’intesa si possa trovare, ma guardando al futuro, non al passato».
Il caso Craxi testimonia però che la prima Repubblica rimarrà avvinghiata alla Seconda finché non si faranno i conti con quella storia.
«Ci sono uomini della prima Repubblica come Andreotti che hanno affrontato i propri problemi giudiziari con grandissimo senso dello Stato».
Nel frattempo Boselli ha inviato una lettera a D’Alema perché si adoperi per la grazia a Craxi.
«I problemi non si risolvono con iniziative di questo genere. Intanto ci sono procedimenti in corso per Craxi, eppoi la grazia è prerogativa del capo dello Stato, che a tale riguardo ha già risposto con una lettera nobilissima».
E ieri il capo dello Stato ha bacchettato Berlusconi per l’attacco ai magistrati di Milano.
«Un atto ineccepibile, quello di Ciampi. Sono stato confortato dal fatto che si sia espresso con la misura e delle parole che, si parva licet, io avevo usato due giorni prima».
Sta di fatto che Berlusconi continua a ritenersi vittima di un uso a orologeria della giustizia: il rinvio a giudizio è arrivato alla vigilia dalle suppletive, e il processo inizierà presumibilmente in piena campagna elettorale per le Regionali.
«A parte il fatto che in Italia si vota sempre, il giudice Rossato, il cui stile ritengo encomiabile, non può essere arruolato tra le cosiddette toghe rosse. Per questo considero singolare l’attacco di Berlusconi: l’uso della giustizia a fini elettorali non funziona né dall’una né dall’altra parte. Vorrei inoltre ricordare sommessamente, anche a un pezzo della sinistra, che nel ’94 Berlusconi vinse quando l’inchiesta Mani pulite era alla sua massima espansione... Non vedo come si possa pensare di vincere le elezioni con l’uso della giustizia o dei rinvii a giudizio».
Tuttavia il clima che si è creato non è favorevole alle riforme. Che ne sarà delle leggi di accompagnamento al giusto processo?
«Il Senato ha già approvato all’unanimità uno di questi provvedimenti e auspico che la Camera faccia altrettanto. Se ciò non dovesse verificarsi, il governo farà la sua parte».
Con decreti legge?
«Malvolentieri, ma la farà».

Francesco Verderami