L’Europa
non cresce senza leggi comuni
da La Stampa del 30.11.98
M ANCANO undici giorni al consueto vertice europeo di fine anno, questa
volta a Vienna. E sono cominciati i preparativi, oggi l’incontro franco-tedesco
a Potsdam e quello anglo-italiano a Londra, mentre domani a Bruxelles si
riuniscono i ministri finanziari e del Lavoro dei quindici Paesi. C’erano
molte attese e concrete speranze per questo vertice, che chiude un’attiva
presidenza di turno dell’Austria. Ma ora il caso Ocalan, visto da molti
come un fallimento dell’Europa, sembra avere appannato le attese e complicato
le speranze. Come se sul destino giudiziario del leader guerrigliero curdo
si giocasse il prossimo futuro dell’Unione europea.
Ma è davvero così? Questo giornale è stato il
primo a valutare in pieno il significato dirompente dell’arrivo a Roma
del presidente del Pkk, dedicandogli l’apertura della prima pagina il 14
novembre. Ma forse ora è il caso di non esagerare sul suo significato
“europeo”, di non attribuire all’Europa nel suo insieme responsabilità
ed errori che sono stati e sono di singoli Paesi.
All’Italia non è mancata la solidarietà dell’Unione,
nei termini consentiti e possibili. Quando è sembrato configurarsi
un vero e proprio boicottaggio dei prodotti italiani, il presidente della
Commissione, Santer, ha messo in guardia la Turchia dalla violazione del
suo accordo doganale con l’Ue, il che avrebbe complicato ulteriormente
la sua marcia di avvicinamento a Bruxelles. Un deterrente di cui ad Ankara
è stata avvertita la forza. E non sono mancate altre manifestazioni
di solidarietà, da parte del Parlamento europeo e di singoli Stati.
All’Italia è invece mancata, per ragioni che il nostro presidente
del Consiglio ha definito “serie”, la collaborazione della Germania. Essa
ora si esprime nella ricerca comune di una soluzione giudiziaria internazionale,
che però appare obiettivamente difficile. E dunque la famosa “patata
bollente” resta soprattutto, se non esclusivamente, nelle mani di Roma.
Da come l’Italia riuscirà a disfarsene, o almeno a raffreddarla,
dopo non pochi errori e incongruenze, dipende la sua credibilità
politica (come maggioranza parlamentare e come governo).
Il punto è un altro, e lo ha messo bene in evidenza Biagio De
Giovanni sull’”Unità” di ieri (il giornale, salvo errore, del partito
di D’Alema). “La politica europea ha bisogno di istituzioni europee per
funzionare: non imbrigliati da queste, gli interessi nazionali tornano
a tenere il campo, e anzi addirittura diventano più resistenti”.
Infatti la Germania ha peccato d’incoerenza, ma non ha certo violato leggi
e regole comunitarie. A parte la figuraccia, aggredita dai media ma sostenuta
o condivisa dall’opposizione cristiano-democratica, nel nome appunto dell’interesse
nazionale, Bonn non ha altro di cui rimproverarsi.
E allora il problema non è prendersela con Schroeder e con Fischer,
e magari con Schauble, e ancor meno cercare di mascherare l’egoismo tedesco,
per ragioni di buon vicinato. Il problema, al di là del caso Ocalan,
che in un modo o in un altro si risolverà, è rendere sempre
più ampia e sempre più stretta la rete delle regole comuni,
affinché crisi del genere non debbano più ripetersi, perché
già previste dalle leggi dell’Unione europea.
E torniamo al vertice di Vienna. Da esso si aspettano dei progressi,
appunto, in questa direzione. Che ha un suo aspetto socioeconomico (il
coordinamento fiscale, un vero piano comune per la crescita e l’occupazione)
e ne ha uno non meno importante, anzi alla lunga decisivo, di carattere
squisitamente politico: la politica estera, la sicurezza, e anche la giustizia
(cioè la sicurezza interna all’Unione). Può darsi che si
finirà per parlare anche di Ocalan, se una “ricetta” non sarà
stata ancora trovata, ma che sia chiaro che la “materia del contendere”
è diversa e più alta.
Aldo Rizzo
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