Del Turco: Violante ha ragione,
apriamo il dialogo
da Il Corriere della sera del 30.10.99
ROMA - «Una bufera? Sì, ma ne ho passate altre e non sono
spaventato. Sono colpito dal fatto che alcuni componenti l'Antimafia che
si presentano come "la maggioranza" vogliano delegittimarmi con argomenti
poco consistenti. In realtà questo è il nuovo Ulivo cioè
un partito, il Pds, che chiama a raccolta i propri seguaci e fa politica
in questo modo. Noi in questo nuovo Ulivo non ci stiamo perché non
rinunciamo alla nostra identità e alla nostra autonomia».
Ottaviano Del Turco, presidente dell'Antimafia accusato di «falso
garantismo» dal suo vice Nichi Vendola (Rifondazione) per un'intervista
sul caso Andreotti, sulla Procura di Palermo e sul passato della commissione
con argomenti «che sconcertano l'intero centrosinistra», si
sfoga. «Non ho mai parlato di un'Antimafia sporca e di un'Antimafia
oggi pulita perché non ho l'autorevolezza morale per avanzare queste
categorie e non credo che ce l'abbia neppure Vendola. Se volevano un'Antimafia
giustizialista avevano un altro candidato che non hanno scelto due anni
e mezzo fa e che era Pino Arlacchi. Io no, sono un socialista, garantista,
lo sapevano, non mi sono lasciato intimidire negli anni bui in cui il Partito
socialista veniva raso al suolo. Pensate se sento il desiderio adesso di
dire che non c'entro niente con quella storia lì...».
Hanno sbagliato a leggere la sua intervista anche quando parla di un
magistrato diverso da Caselli come l'iniziatore...
«Io parlo di magistrati di Palermo che prima ancora che arrivasse
Caselli avevano in qualche misura avviato un'iniziativa giudiziaria che
portava al processo Andreotti. Il mio era un modesto tentativo di non attribuire
a Caselli tutte le responsabilità di questa storia. Adesso non mi
si chieda di avviare un'inchiesta su come è nato il processo Andreotti.
Ho rifiutato questa richiesta quando mi è stata rivolta da altre
parti dell'Antimafia sulla Procura di Palermo, non lo farò adesso
sulla spinta di un errore di cultura politica di una parte della maggioranza.
Dico una parte perché i Verdi hanno già dichiarato che non
c'entrano con questa iniziativa. Ho passato la mattinata a rispondere a
decine di parlamentari Popolari e dell'Udeur che non si riconoscono nelle
posizioni espresse in commissione dai loro rappresentanti».
E allora perché questa improvvisa fiammata polemica?
«A un'intervista si risponde con un'intervista. Ma se si risponde
con una specie di tribunale del popolo che chiede di assumersi le funzioni
di censore dell'intervista e poi di chiedere l'apertura di un processo
allora dietro c'è altro. La colpa che ho commesso è di aver
detto prima della sentenza Andreotti che c'era stata una degenerazione
del sistema dei pentiti. Improvvisamente Vendola e Mantovano, da posizioni
diverse tra loro, hanno cominciato a parlare di scioglimento dell'Antimafia».
E' d'accordo con Violante sull'avvio di una fase autocritica e di una
pacificazione?
«Credo che l'intervista di Violante al Corriere della Sera rappresenti
l'avvio di una riflessione importante a cui deve partecipare l'intera classe
politica italiana e non può mancare la voce autorevole del presidente
della Camera. Penso che di questa riflessione l'aspetto più rilevante
sia l'invito a determinare un clima che possa aiutare il dialogo. Nel corso
di questi anni c'è stato un clima drammatico che ha favorito il
linciaggio degli avversari, l'eliminazione politica di interi gruppi dirigenti
di partito. Ma si dovrà pensare anche a come fu vissuta dall'opinione
pubblica la vicenda della commissione Antimafia nei primi anni '90. Non
penso che finito il processo Andreotti adesso ne cominci un altro a Violante
o ai giudici che magari duri altri sei anni. Non ho mai concepito la lotta
politica come una serie inesauribile di rancori o di vendette. Ho una passione
per la politica nella sua accezione più nobile. Ho vissuto con uomini
come Luciano Lama o Pio Galli. Un pezzo di questa storia è anche
la mia».
Anche il caso Craxi va «ripensato»...
«Improvvisamente tutto si è mescolato. Noi socialisti
abbiamo parlato di commissione d'inchiesta su Tangentopoli quando il diabete
non aveva ancora aggredito il cuore di Bettino Craxi. Stabilire questo
collegamento significa dare a questa rivendicazione un carattere improprio.
Per un concorso di vicende strane, senza però pensare a un grande
vecchio, la reintegrazione di Vitalone, quella di Carnevale, l'assoluzione
di Andreotti a Perugia e poi quella di Palermo e la vicenda della malattia
di Craxi sono arrivate tutte contemporaneamente: ma non sono organizzate
da un grande regista, sono arrivati al pettine i nodi di una stagione politica
italiana che non poteva continuare ad andare avanti con il sospetto che
con l'inganno fosse stata eliminata un'intera classe politica. Nessun sistema
regge per molti anni con questo sospetto: elminarlo è un bene innanzitutto
per chi è al governo oggi».
Paolo Menghini
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