“Sui reati nel mirino parola alle Camere”

da La Repubblica del 4.7.98

di MARCO TRAVAGLIO
TORINO - “Credo che qualche magistrato abbia capito male il mio pensiero. Non ho mai messo in discussione l’obbligatorietà dell’azione penale e l’indipendenza dei pm...”.  Tra il Lingotto, dove Luciano Violante ritorna sulla sua nuova idea di obbligatorietà dell’azione penale, e gli uffici giudiziari torinesi di via Tasso, dove lavorò negli Anni 70 come giudice istruttore, non c’è una gran distanza. Ma il presidente della Camera e i suoi ex colleghi in toga parlano ormai linguaggi opposti. Lo applaudono invece a scena aperta gli avvocati, riuniti nell’ex fabbrica Fiat per il convegno nazionale dell’ Organismo unitario forense. Musica per le loro orecchie sentir dire proprio da Violante che “ciò che non va in Italia è l’assoluta arbitrarietà della scelta delle priorità nella trattazione degli affari penali”, e che l’avvocatura “ha il merito di aver posto per prima la questione della discrezionalità dell’azione penale”. Ancora applausi. Violante insiste: “Il cittadino, imputato o vittima, ha diritto di sapere perchè il suo affare viene o non viene trattato con priorità. I criteri devono essere conosciuti in precedenza e, se è il caso, discussi nelle sedi parlamentari che rappresentano l’intero Paese. Non possiamo essere soddisfatti della situazione attuale: essendoci il problema della prescrizione, della coincidenza temporale tra un processo e altri fatti esterni, indicare le priorità è una garanzia per tutti, cittadini e magistrati”. E aggiunge, senza mai citare Berlusconi: “Così nessuno potrà accusare i magistrati di perseguitare qualcuno”. Esclude “vincoli diretti o indiretti” della politica “sull’azione penale”, ma in procura la sua captatio benevolentiae non fa breccia. “Non siamo noi che non abbiamo capito”, dice il procuratore aggiunto Maurizio Laudi, ex collega di Violante all’Ufficio istruzione, “è Luciano che continua a prendere le distanze dal Violante di qualche anno fa, in perfetta linea con l’evoluzione della sinistra, che propone riforme preoccupanti e pericolose”. Violante chiede di “inserire nell’ ordinamento, con le eventuali correzioni, la norma transitoria del decreto sul giudice unico”: quella che impone ai magistrati di “comunicare tempestivamente al Csm i criteri di priorità”. Una norma duramente contestata dalle procure. “Concetti che, fino a qualche mese fa, leggevamo sul Foglio di Ferrara”, scuote il capo un pm di Magistratura democratica. D’accordo, invece, Franzo Grande Stevens, civilista e consulente della famiglia Agnelli: “Violante ha ragione, l’azione penale obbligatoria è un’ipocrisia, ma i pm non ammetteranno mai di essere ipocriti”. Grande, però, teme che l’intervento del Parlamento porti al controllo politico sui pm: “Molto meglio affidare alle singole procure la scelta delle priorità dei reati da perseguire, a seconda delle emergenze locali e dei mezzi a disposizione”. Anche l’avvocato Carlo Federico Grosso, vicepresidente del Csm, solidarizza con Violante: “La programmazione delle priorità va affidato al Parlamento o al ministero di Giustizia, a un “consiglio delle procure” o alla Procura generale della Cassazione, con poteri di indirizzo e controllo affidati al Csm”. “Sarebbe l’anticamera del controllo politico, l’inizio della fine di una giustizia uguale per tutti”, commenta l’altro procuratore aggiunto Marcello Maddalena, altro ex collega di Violante, molto ex.