Meno
chiacchiere, giudice Scotti
da L'Espresso del 6.5.99 colloquio con Gianni Di Cagno - di Cristina Mariotti
«Eppure l'errore è evidente», insiste il consigliere laico diessino Gianni Di Cagno, una delle pochissime voci contro, «e non si tratta di interferenza: ho troppa fiducia nei giudici per pensare che si lascino influenzare, né attribuisco a Scotti alcuna volontà in questo senso. Il problema è un altro». Quale, allora? L'avvocato di parte civile Oreste Flamminii Minuto dice che se c'è una cosa che è sfuggita è la capacità da parte di Scotti di gestire il suo ruolo... «Sì, l'autocontrollo è importante, e lo ripete sempre anche il ministro di Giustizia. Il presidente del Tribunale di Roma avrebbe dovuto ponderare meglio la sua dichiarazione che "tanto la verità non si saprà mai". Ma quale verità? L'unica che deve interessare un giudice è quella processuale: e ci si arriverà comunque. Qualunque sia il verdetto, di innocenza o di colpevolezza degli imputati. Ma Scotti avanza il sospetto che verità e giustizia possano non corrispondere. E lo dice da capo dell'ufficio in cui si incardina il processo in questione. Roba da far cadere le braccia». Insomma, gli sarebbe vietato parlare da cittadino, come lui tiene a precisare? «Ma via, lui non è un semplice cittadino. Lui è il presidente del Tribunale. Senza contare che un certo genere di riflessioni pubbliche servono solo ad alimentare la sfiducia della gente nella giustizia, il qualunquismo più becero. Per esempio quando si parla di processo indiziario come di un'anomalia. Ma tutti i grandi processi che hanno spaccato l'Italia tra colpevolisti e innocentisti erano indiziari, né il caso Russo sarà l'ultimo. Hanno un percorso più tormentato, ma questo non esime i giudici dal fare in ogni caso il proprio lavoro, e cioè produrre una sentenza, che è in quel momento, per loro e per lo Stato italiano, la verità processuale». Scotti ha puntato il dito anche sui limiti del nuovo rito... «E non si capisce perché: il modello processuale non incide affatto sulle prove né tantomeno sugli indizi; e semmai è stato proprio grazie al contraddittorio in aula che sono venute fuori alcune disfunzioni dell'inchiesta, basti pensare al famoso video choc di Gabriella Alletto». Del quale peraltro il presidente Scotti si è detto frastornato come cittadino e perplesso come magistrato... «Se è per questo ci sono altri passaggi poco edificanti nell'inchiesta dei pm, basti pensare alle minacce rivolte alla testimone Chiara Lipari; però non stupiamoci più di tanto: qui si tratta di un processo per omicidio, è inevitabile che chi si trova molto esposto venga fatto oggetto di pressioni. Inoltre la Corte d'assise ha ascoltato anche altre campane ed è certamente in grado di farsi un giudizio. Insomma, il presidente del Tribunale non può mettersi a disquisire su elementi dell'accusa perfettamente noti ai giudici, dando quasi l'impressione di voler anticipare le conclusioni». E la sparata contro i pm sceriffi? «Un suo diritto. Se in quell'intervista si fosse limitato, che so io, a un'analisi del nuovo processo e del ruolo del pubblico ministero, nessuno avrebbe mai avuto motivo di firmare un esposto». Ma al Consiglio superiore si aprirà mai un fascicolo Scotti, visto che la sua presunta interferenza è stata bollata come una sciocchezza anche da autorevoli esponenti di Magistratura democratica? «Nella pre-assoluzione di Scotti, magistrato che svolge peraltro
un lavoro eccellente, circondato dalla stima generale (e ovviamente pure
della mia) si sono saldate due posizioni: quella dei consiglieri che hanno
interpretato la sua sortita in chiave ultragarantista - anche se molti
di loro abitualmente saltano su a condannare come inammissibile esternazione
anche le due chiacchiere fatte da un magistrato davanti a una tazzina di
caffè - e quella di chi ritiene che le indagini del caso Russo siano
state condotte in modo approssimativo e lacunoso e perciò ha giustificato
il suo intervento come un sofferto contributo».
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