La legge-inghippo era stata già denunciata sei mesi fa da quattro deputati

da Il Corriere della sera del 5.6.99

ROMA - Per una volta, la stampa è arrivata prima della magistratura. Era il 16 dicembre 1998. Vincenzo Chianese, funzionario del Tesoro, da 48 ore in una cella di Regina Coeli, era ancora sconosciuto alle cronache. Procura e carabinieri lavoravano in assoluto silenzio alle sue alchimie giuridico-contabili per aggirare i vincoli della spesa pubblica. A pagina 11 del Corriere, a firma Gian Antonio Stella, un servizio dal titolo emblematico («E ora riemerge la leggina che consente agli enti di comprare case e hotel») informava: «Nella Finanziaria in discussione al Senato c'è una strana leggina che pare ispirata al caffè Lavazza: più la butti giù, più la tiran su. Spinge gli Enti previdenziali a spendere 650 miliardi con la scusa del Giubileo per comperare, contro la legge in vigore, alberghi, residence, strutture varie. E non c'è verso di ricacciarla indietro». Era la «norma Chianese», quella che autorizzava l'Inail a far lievitare la spesa per acquisizione di immobili da 270 a 650 miliardi. La norma cui Ciampi aveva strenuamente resistito e che lo stesso Chianese riteneva «invisibile», perché - confidava - «chi vuoi che se ne accorga tra 10 mila norme?». E invece se ne era accorto il Corriere (come testimonia il commento infastidito in una delle intercettazioni dell'inchiesta) e con lui quattro deputati diessini (Eugenio Duca, Luigi Giacco, Pietro Gasperoni e Osvaldo Scrivani) che, contravvenendo alle indicazioni del partito, si erano battuti perché venisse affondata dalla Commissione bilancio. Scrivevano infatti i 4 deputati nel dicembre '98: «Ci auguriamo che il Senato approvi il testo pervenuto dalla Commissione bilancio, perché sarebbe sorprendente che mentre non si trovano i fondi per risolvere il problema del cumulo tra rendita infortuni e pensione dei lavoratori dipendenti (intorno ai 100 miliardi) si possa prevedere l'uso di ben 650 miliardi per beneficiare una decina di palazzinari che potranno fare buoni affari con Enti previdenziali e Inail». 
Poche, preveggenti righe. Perché al Senato, proprio come nella metafora del caffè Lavazza, la norma era «tornata su». Nonostante l'opposizione del ds Fausto Pizzinato, gli emendamenti firmati dai diessini Gian Lorenzo Forcieri, Anna Maria Bucciarelli e Stefano Passigli, avevano infatti tentato, sia pure senza successo, di assicurarne la resurrezione. Il Corriere ne aveva dato conto. E il senatore Passigli aveva replicato con una piccata lettera: «Dispiace che un grande giornale sia incorso nei miei confronti in critiche disinformate. Evidentemente, anche uno dei migliori quotidiani del mondo ed anche i più esperti giornalisti incorrono in errori. Mi auguro non vogliano perseverare». 
Ma a perseverare è stata la magistratura. Quella leggina è diventata un capo di imputazione. Dunque? I 4 deputati diessini gioiscono a ragione oggi e chiedono che «Governo e Parlamento annullino tutti gli atti favorevoli ai palazzinari e alla ricca tangentizia che ha tentato di ingannare il Paese». Il senatore Passigli dissimula un qualche imbarazzo. Prova a fare mente locale. E alla domanda: Riscriverebbe quella lettera? «Quale lettera? Ah, sì, la lettera sull'Inail. Volevo soltanto precisare che, su segnalazione degli Enti locali, mi ero impegnato a votare una norma che stanziava fondi per l'acquisizione di immobili con precise finalità di assistenza socio-sanitaria. Certo non potevo sapere che un funzionario corrotto volesse approfittarne. In ogni caso se i miei colleghi che si opponevano allora avevano avuto questo sentore avrebbero fatto bene a dirlo». 
C. B.,