BELLUM
IUSTUM, BELLUM INIUSTUM
Di Bruno Di Pietro
Interrogarsi sulla guerra
Il coinvolgimento diretto dell'Italia nell'azione militare dell'Alleanza
Atlantica contro la Serbia riapre, anche nel nostro Paese, spazi di meditazione
su qualcosa che finora sembrava lontano, sembrava non poterci, non doverci
coinvolgere.
Cosa sia giusto, che cosa ingiusto nel ricorso alla guerra. Se sia
giusto o addirittura se vi sia un diritto di enti o alleanze sovranazionali
di ricorrere alla guerra nei confronti di Stati sovrani. Quali siano la
estensione e i limiti, oggi, dello stesso concetto di sovranità
degli Stati-Nazione.
Tutti questi interrogativi si intrecciano con le immagini delle bombe
su Belgrado, della pulizia etnica, delle stragi, dei profughi.
In questo ambito si muove la riflessione che segue: un nuovo interrogarsi
sulla guerra che non può non interessare i giuristi.
L'uomo con la pistola e l'uomo con il fucile
Mi sia consentito introdurre l'argomento con una metafora tratta da
un film.
Tutti avrete visto, credo, "Per un pugno di dollari" di Sergio Leone.
Tutti ricorderete una scena chiave del film, in cui Ramon (il cattivo,
ma solo per eccessiva disponibilità di uomini e di mezzi di offesa)
dichiara a Clint Eastwood (il buono, ma solo per povertà di mezzi
di offesa) che "se un uomo con una pistola incontra un uomo con un
fucile, l'uomo con la pistola è un uomo morto".
L'affermazione, ovviamente, presuppone la diversa capacità di
offesa delle due armi, ed inoltre che i due uomini armati abbiano un qualche
motivo per contendere e non siano disposti a sottoscrivere un contratto.
Tutti saprete come va a finire il film. Clint Eastwood (l'uomo con
la pistola) si procura un rudimentale giubbotto antiproiettile ante litteram
e Ramon (l'uomo con il fucile) ci rimette la pelle.
Una trovata, un mezzo meramente difensivo modifica il risultato del
conflitto. E non solo il risultato, ma anche le ragioni del conflitto:
tutti ricorderete che Clint Eastwood non spara per primo, anzi invita espressamente
l'altro a sparare.
Quando Ronald Reagan pronunciò il famoso discorso sulla creazione
dello "scudo stellare" (mezzo, in teoria, meramente difensivo) mi ricordai
istintivamente di Clint Eastwood. Il finale di quest'altro film lo abbiamo
visto.
Si è così introdotto il delicatissimo tema della "legittima
difesa preventiva" che agita il dibattito interpretativo dell'art.51 della
Carta delle Nazioni Unite. Più in generale, si è introdotto
il tema della legittimità del ricorso alla violenza e quindi alla
guerra come forma di autotutela. Nozione che si va estendendo anche a forme
di tutela del genere umano in quanto tale nel caso di comportamenti definiti
come criminali nei confronti dello stesso.
Violenza offensiva, violenza difensiva
Tutti, chi più e chi meno, respingono in linea di principio
la violenza, e quindi la idea stessa della guerra, la disapprovano e istintivamente
la condannano.
Ma tutti, chi più e chi meno, sono al contempo disposti ad ammetterla.
E' vero che, generalmente presa, la si riprova e la si rifiuta, ma è
altrettanto vero che si è portati ad ammetterla almeno in casi eccezionali,
in circostanze che si ritengono del tutto provvisorie e di emergenza.
Molti, se non proprio tutti, ammettono l'impiego della violenza, e
quindi della guerra, contro chi compia atti giudicati profondamente ingiusti
o disgustosi e - comunque - deprecabili, specie quando colpiscono brutalmente
la persona umana. Ma tutti (con la eccezione di chi è incline all'ascesi)
l'ammettono per lo meno come risposta immediata ad altra violenza, cioè
come reazione all'offesa, come difesa contro una aggressione. Da qui la
distinzione tra violenza offensiva e violenza difensiva. Da qui il (millenario)
distinguo tra "bellum iustum" e "bellum iniustum".
Violenza e diritto
Va anche segnalato il rapporto fortemente dialettico fra le nozioni
di violenza e diritto, essendo la prima una forma di coazione diretta avente
o scopo di distruggere l'avversario o di coartarne materialmente la volontà;
la seconda, una forma di razionalizzazione delle coazioni che mira a prevenire
o a regolare i conflitti mediante la metaforizzazione in norme della violenza.
Ne conseguono, quanto alla guerra, due possibili atteggiamenti:
1) o si ritiene la guerra una negazione del diritto, rinunciando così
per principio a ricercarne i limiti giuridici, e non ci si pone il problema
della liceità o illiceità della guerra, considerandola come
fenomeno metagiuridico.
2) O si ritiene la guerra un fenomeno coerente con il diritto e quindi
le si assegna o la funzione di autotutela, per cui il ricorso alla guerra
può avere molteplici cause legittimanti, ovvero la funzione della
risoluzione delle controversie (con la conseguenza che la guerra è
fenomeno indifferente al diritto, non soggetto a valutazioni di liceità
e perciò evidentemente illimitato).
Il problema dei limiti giuridici di ricorso alla guerra
Pur con i problemi che appresso esaminerò, non può disconoscersi
che nel secolo XX si sia sicuramente modificato il principio classico della
"libertà di ricorso alla guerra".
Tale problema non può essere affrontato se non alla luce del
divieto all'uso della forza sancito dalla Carta delle Nazioni Unite. Sottoscrivendo
la Carta delle Nazioni Unite, quasi tutti gli Stati del mondo hanno assunto
l'obbligo reciproco di "astenersi dalla minaccia e dall'uso della forza,
sia contro la integrità territoriale o la indipendenza politica
di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i
fini delle Nazioni Unite" (Art.2, par.4).
Volendo enfatizzare il significato dellart.2, par.4, si può
arrivare a ritenere che il divieto all'uso della forza sia stato assunto
a contenuto di una norma generale dell'ordinamento internazionale e non
più solo come l'oggetto di un obbligo pattiziamente conseguito.
Così ragionando, si potrebbe concludere che il ricorso alla guerra
sia oggi da considerare illecito e , addirittura, che si debba ritenere
abrogato il potere degli Stati di promuovere la guerra.
Le cose, però, non stanno esattamente così.
Va infatti considerato che lo spazio lasciato dalla stessa Carta delle
Nazioni Unite è ancora piuttosto ampio. Tale spazio è coperto
da quello che l'art.51 della carta definisce "diritto naturale di autotutela
individuale e collettiva" contro l'attacco armato.
E se è vero che tale diritto può essere esercitato "fintantoché
il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere
la pace e la sicurezza internazionale" è anche vero che la difficoltà
nei processi decisionali all'interno del Consiglio di Sicurezza ha finito
per ampliarne notevolmente il ruolo e l'importanza.
L'art.51, che avrebbe dovuto rappresentare solo il necessario complemento
di un sistema basato sull'intervento collettivo per la prevenzione e la
eliminazione delle violazioni della pace, ha finito per costituire un limite
ampio e profondo all'obbligo generale di astenersi dall'uso della forza
sancito dall'art.2 per.4 della Carta.
Bellum iustum/bellum iniustum
E' così riemersa l'antica distinzione fra bellum iustum e bellum
iniustum: l'uso della forza, generalmente vietato, sarebbe però
legittimo nell'esercizio del diritto di autotutela e sarebbe così
"ingiusto" se orientato a scopi aggressivi, "giusto" se dettato da ragioni
difensive.
La teoria del bellum iustum, presente fin dal diritto interstatale
degli antichi greci, passa - attraverso l'influenza di Cicerone- a S.Agostino
e Isidoro di Siviglia, fino alla incorporazione nella Summa Theologica
di S.Tommaso. Divenne poi dominante nelle costruzioni giusnaturalistiche
dei secoli XVI,XVII e XVIII. Grozio, in particolare, sostenne che - secondo
il diritto naturale- ogni guerra deve avere una "giusta causa" che in altro
non può essere riconosciuta se non in un torto sofferto.
Scomparsa quasi del tutto nella teoria del diritto internazionale positivo
del XIX secolo, essa è riemersa, come dicevamo, nel nostro secolo.
Senza dar conto, in questa sede, delle diverse costruzioni teoriche
sorte in un percorso che sembra seguire l'intera storia dell'umanità,
valga - in definitiva- dar conto di quello che è l'autentico problema
insito nella distinzione bellum iustum/bellum iniustum. Tale distinzione
appare infatti legittima solo in presenza di un funzionante sistema sovraordinato
agli stati e predisposto alla valutazione delle ragioni dei contendenti,
all'intervento sanzionatorio contro l'aggressore e riparatore dell'ordine
violato.
Ancor più complessa appare la questione quando si voglia legittimare
l'uso della guerra nel caso che alcuni stati ritengano l'intervento giustificato
e/o giustificabile in ragione di azioni ritenute lesive del "genere umano".
Solo un sistema sovraordinato agli Stati-nazione, condiviso e d efficace,
può dare una soddisfacente risposta agli interrogativi posti. Che
è poi quella "Repubblica universale" che, forse, prenderà
il posto dei declinanti Stati. Ma, su questa strada, occorrerà ancora
tempo, avremo i traumi di guerre prossime venture, avremo tormenti e pene.
L'articolo segreto suggerito nella "Pace perpetua" da Kant
Quanto appena detto suggerisce, ancora una volta, la conclusione di
come il problema della guerra sia affidato alla ragionevolezza umana. Kant,
quasi in chiusura del suo progetto "Per la pace perpetua" detta un "articolo
segreto" che così dice: "Le massime dei filosofi circa le condizioni
che rendono possibile la pace pubblica devono essere prese in considerazione
dagli Stati armati per la guerra", e poi commenta :"non c'è da attendersi
che i re filosofeggino o i filosofi diventino re, e neppure da desiderarlo(….)
ma che re o popoli sovrani non lascino perdere o ridurre al silenzio la
classe dei filosofi, ma la lascino pubblicamente parlare, questo è
indispensabile agli uni ed agli altri per avere luce sui propri affari.
E poiché questa classe per sua natura è immune da spirito
fazioso ed è incapace di cospirare, non può essere sospetta
di fare della propaganda".
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