Interessi legittimi, risarcimento
del danno e doppia tutela.
La Cassazione rivoluziona l’orientamento in materia di risarcibilità
del danno da lesione di interessi legittimi.
di Giovanni Duni
1) Premessa.
Questo scritto si aggiungerà ai molteplici che commenteranno
la sentenza Cass. S.U. 22 luglio 1999, n. 500. Chi però fin dal
1968 aveva propugnato le tesi finalmente accolte dalla Cassazione, è
naturalmente stimolato ad un raffronto tra quelle teorie e questa pronunzia
e non può tacere nel momento storico in cui la giustizia amministrativa
italiana si adegua ai livelli europei.<O:P</O:P
La sentenza, rivoluzionando una materia nella quale soluzioni insoddisfacenti
sembravano pietrificate, ha una motivazione di encomiabile ampiezza e profondità
di analisi. Come autore che trattò il tema in passato, seguendone
gli sviluppi successivi nell’ambito della didattica ed attraverso approfondimenti
di allievi, ho letto la sentenza con la massima attenzione e devo confermare
un giudizio, ampiamente positivo sulla prima parte, non scalfito da qualche
rilievo, che pure è necessario fare: sarebbe invero eccessivo pretendere
un’assoluta coincidenza di impostazione, motivazione e conclusioni tra
liberi pensatori, in una materia così articolata e complessa.<O:P</O:P
Anzitutto va sottolineato che la sentenza realizza due rivoluzioni
e non una sola: la prima attiene al tema che anche la stampa quotidiana
ha divulgato: la risarcibiltà dei danni da lesione di interessi
legittimi; la seconda attiene ad un enorme ampliamento dell’ambito della
disapplicazione degli atti amministrativi, rilanciando la tesi della doppia
tutela[1], che non ci sembra tuttavia condivisibile.<O:P</O:P
2) In merito alla risarcibilità del danno.<O:P</O:P
Di fronte ad una sentenza così articolata, argomentata e documentata
(soprattutto sulla giurisprudenza) un commento rischia di diventare una
parafrasi. Ci si limiterà quindi a sottolinearne: I) la posizione
che va ad assumere nella storia della giustizia amministrativa; II) alcuni
passaggi significativi.<O:P</O:P
I) Nella evoluzione della giustizia amministrativa la sentenza deve
essere considerata un essenziale completamento della evoluzione del processo
che – partendo dalla immunità sovrana – ha via via sottoposto le
pubbliche amministrazioni al controllo di giudici indipendenti, in controversie
instaurate da cittadini che lamentavano illegalità commesse in loro
danno, costruendo quei principiî che prendono il nome di Stato di
diritto. Nella cronologia sono essenziali i richiami soprattutto:<O:P</O:P
all’allegato E della L. 20 marzo 1865, n. 2248;<O:P</O:P
all’evoluzione della giurisprudenza della Corte di Cassazione di Roma
negli anni 1877-81[2];
alla istituzione della IV sezione del Consiglio di Stato: L. 31 marzo
1889, n. 5992;<O:P</O:P
alla costituzionalizzazione dei principi dello Stato di diritto nel
1948[3];<O:P</O:P
alla sopravvenienza, sempre più penetrante, del diritto comunitario[4]:
non tanto con la stessa approvazione del Trattato di Roma, quanto attraverso
l’evoluzione tramite talune direttive e la giurisprudenza sulla responsabilità
verso terzi per violazione di norme comunitarie (giurisprudenza iniziata
con la famosa Corte Giust. CE, 19 novembre 1991, Francovich).<O:P</O:P
II) I passaggi più significativi della sentenza che si commenta
sono i seguenti:<O:P</O:P
a) Ai fini della tutela della responsabilità aquiliana (art.
2043 cod. civ.) gli interessi legittimi sono equiparati sia ai diritti
soggettivi sia alle aspettative meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento.<O:P</O:P
b) Si attenua l’importanza della differenziazione tra gli interessi
oppositivi (i soli fino ad ora ammessi alla tutela risarcitoria) e quelli
pretensivi. Per questi ultimi l’accertamento del danno consiste nella valutazione
della “fondatezza o meno della istanza, onde stabilire se il pretendente
fosse titolare non già di una mera aspettativa, come tale non tutelabile,
bensì di una situazione suscettiva di determinare un oggettivo affidamento
circa la sua conclusione positiva...”[5].<O:P</O:P
c) Occorre, nelle varie fattispecie concrete, accertare il dolo o la
colpa della P.A., non essendo sufficiente l’esecuzione volontaria di un
atto amministrativo illegittimo[6].<O:P</O:P
d) Il legislatore ha dimostrato di orientarsi verso il riconoscimento
della risarcibilità: il D. Legisl. 31 marzo 1998, n. 80, nell’introdurre
le giurisdizioni esclusive di cui agli artt. 33 e 34, ha affidato al T.A.R.
anche il risarcimento del danno ingiusto (art. 35, comma 1). Le S.U. hanno
dato il giusto rilievo a questa norma innovativa: se il primo comma dell’art.
35 del D. Legisl. 80 fosse limitato alle pronunzie su fattispecie di interessi
legittimi oppositivi, la portata della disposizione — considerate le materie
di cui agli artt. 33 e 34 — sarebbe stata quasi trascurabile; la Cassazione,
pur senza affrontare esplicitamente questo dubbio, opta implicitamente
per il significato più ampio, comprensivo anche degli interessi
legittimi pretensivi ed è auspicabile che anche la giurisdizione
amministrativa dia la stessa interpretazione.<O:P</O:P
e) Sul concetto di “danno ingiusto”, di cui all’art. 2043 cod. civ.,
pur in presenza di una giurisprudenza nella sua generalità restrittiva,
legata alla lesione di un diritto soggettivo, si riscontrano varie pronunzie
orientate verso soluzioni più aperte, sovente mascherando sotto
il riconoscimento del diritto soggettivo situazioni che tali non erano,
ma che pure meritavano di essere tutelate[7]. Nei rapporti con la P.A.,
la giurisprudenza era tuttavia ancora ferma alla ricerca di un diritto
soggettivo, da tutelare con giudizio successivo a quello innanzi al T.A.R.,
sia nelle ipotesi di “diritti affievoliti”, sia in quelle di “diritti in
attesa di espansione”, quando si siano effettivamente espansi a seguito
di un atto di autorizzazione o di concessione; una successiva revoca o
annullamento d’ufficio, se a loro volta annullati in sede giurisdizionale,
ripristinando la situazione di vantaggio, aprivano la strada al risarcimento
del danno.<O:P</O:P
f) Le S.U. intendono superare la propria precedente giurisprudenza
che condizionava l’accoglimento della domanda risarcitoria all’esistenza
di un diritto soggettivo, più o meno artificiosamente ricostruito.
La ricostruzione del significato da dare all’art. 2043 cod. civ., rilevante
in tutti i rapporti giuridici e non solo in quelli cittadino-P.A., va quindi
impostata nei termini seguenti:<O:P</O:P
f1) la disposizione non contempla alcuna limitazione del risarcimento
alla lesione dei soli diritti soggettivi;<O:P</O:P
f2) l’espressione “ingiusto” significa “in carenza di causa di giustificazione”
e “lesivo di un interesse meritevole di tutela e quindi rilevante per l’ordinamento”[8];<O:P</O:P
f3) sono meritevoli di tutela i diritti soggettivi assoluti o relativi,
gli interessi legittimi pretensivi ed oppositivi ed ogni altro interesse
giuridicamente rilevante;<O:P</O:P
f4) l’art. 2043 non è quindi una norma meramente sanzionatoria,
ma primaria, da sola sufficiente ad identificare l’illecito civile, come
fattispecie atipica[9].<O:P</O:P
g) Rileva ai fini di una ricostruzione dell’evoluzione, la normativa
che prevede il risarcimento del danno derivante da violazione di norme
comunitarie in tema di appalti (L. 19 febbraio 1992, n. 142, e successive
modificazioni). Pur avendo la Cassazione sentenziato precedentemente per
la tassatività della previsione, imposta da direttive comunitarie
ma ritenuta dalla S.C. una sorta di deroga ai principi dell’ordinamento
italiano, la norma assume rilevanza significativa in questo momento di
revisione dell’orientamento giurisprudenziale, tenuto conto del “primato
incontroverso” dell’ordinamento comunitario.<O:P</O:P
In aggiunta agli argomenti esposti, a sostegno dell’evoluzione già
in corso, potrebbe essere ricordata la lettera h, del comma 5, dell’art.
20 della L. 15 marzo 1997, n. 59, che nell’ambito di ampie deleghe al Governo,
prevede un “indennizzo automatico e forfettario” per il ritardo nella emanazione
dei provvedimenti amministrativi; norma che acquista un significato di
progresso in quanto si riferisce evidentemente agli interessi pretensivi
lesi dal ritardo[10].<O:P</O:P
Concludendo, la sentenza che si commenta, nella sua parte essenziale
fin qui esaminata, realizza una innovazione di estrema importanza nel perfezionamento
delle caratteristiche di uno “Stato di diritto”, ossia di un ordinamento
nel quale la Pubblica autorità non goda di privilegi più
o meno ammantati di tecnicismi giuridici, ma che comunque si risolvevano
in sostanziali ingiustizie nei confronti del cittadino, vittima di illegittimità
non seguite da riparazione del danno. Come si è detto in premessa,
le marginali riserve, più sopra indicate in alcune note, non intaccano
l’importanza della conclusione e la dovizia di argomentazioni a supporto.<O:P</O:P
<O:P</O:P
3) La “non pregiudizialità del giudizio di annullamento”.<O:P</O:P
Nell’intento di completare il quadro delle innovazioni che si sono
introdotte con la rivoluzionaria sentenza, le S.U., nell’ultima parte della
motivazione, hanno ritenuto di affermare che l’azione per il risarcimento
del danno può essere esercitata senza il preventivo annullamento
dell’atto lesivo. Ciò sia nel campo degli interessi pretensivi che
in quello degli interessi oppositivi.<O:P</O:P
Già parte della dottrina aveva affermato, in contrasto con la
precedente giurisprudenza, la esplicabilità della doppia tutela
nei confronti della P.A. che ha emanato un atto lesivo di interessi legittimi
oppositivi. In applicazione dell’all. E della famosa L. 20 marzo 1865,
n. 2248, l’atto amministrativo sarebbe stato disapplicato dal giudice ordinario,
che in tale modo avrebbe potuto conoscere dell’illiceità dell’azione
amministrativa e condannare al risarcimento del danno[11].<O:P</O:P
La giurisprudenza, con l’assenso della maggioranza della dottrina,
riteneva tuttavia che, istituito il giudice degli interessi con la L. 31
marzo 1889, n. 5992, una simile disapplicazione ne avrebbe aggirato la
sfera giurisdizionale perché “il giudice ordinario avrebbe conosciuto
della illegittimità dell’atto non incidenter tantum, ma principaliter”[12].<O:P</O:P
Chi scrive aveva poi anche sottolineato che l’azione di annullamento
costituisce anche un doveroso comportamento del “buon danneggiato”, che,
conformemente a più generali principi giurisprudenziali in tema
di responsabilità civile, è tenuto ad attivarsi per contenere
il danno: diversa è infatti il l’entità del danno per i soli
effetti prodotti dall’atto medio tempore, rispetto al maggior danno di
un atto non rimosso e destinato a restare efficace in perpetuo (salvo l’eventuale
annullamento in sede di autotutela). Per gli interessi legittimi pretensivi
l’annullamento del diniego conferisce concretezza alla dimostrazione del
lucro cessante[13] ed incrementa l’aspetto probabilistico delle chances,
soprattutto in ragione del tipo di vizio riscontrato[14].<O:P</O:P
La Cassazione, nella sentenza che si commenta, ha ritenuto di mutare
orientamento, considerando che la precedente giurisprudenza di segno opposto
era basata sulla necessaria ricerca di un diritto soggettivo da tutelare
nell’azione di risarcimento del danno: secondo la consolidata impostazione
il diritto affievolito si riespande e la giurisdizione diventa quella ordinaria[15].
Con il mutamento giurisprudenziale, non essendo più necessario basare
l’azione del risarcimento sul diritto soggettivo, verrebbe a mancare quella
necessaria pregiudizialità dell’annullamento, quale presupposto
della riviviscenza di tale situazione soggettiva. Per l’applicazione dell’art.
2043 cod. civ. sarebbe quindi sufficiente far valere l’illegittimità
dell’azione amministrativa direttamente innanzi al giudice ordinario.<O:P</O:P
Le S.U. prospettano inoltre un più ampio scenario del riparto
delle giurisdizioni, alla luce del D. Legisl. 80/1998: alcune materie verrebbero
attribuite al giudice amministrativo con pienezza di cognizione esclusiva
e risarcitoria, mentre negli altri campi si realizzerebbe analoga “concentrazione
di tutela” innanzi al giudice ordinario, “come espressamente prevede l’art.
68, comma 1, del D. Legisl. 29/1993, nel testo sostituito dall’art. 29,
comma 1, del D. Legisl. 80/1998, per la materia del lavoro”.<O:P</O:P
Non può non apprezzarsi l’intento di tutela del cittadino che
è alla base di queste nuove concezioni della Cassazione. Ci sembra
tuttavia che si sia spostato allo ius conditum considerazioni apprezzabili
come ius condendum.<O:P</O:P
Una riforma seria della tutela del cittadino nei confronti della P.A.
dovrà sicuramente essere orientata nel senso della concentrazione
innanzi ad un unico giudice delle azioni di annullamento, di tutela di
diritti ed interessi e di risarcimento del danno. La stessa giurisdizione
nella materia del lavoro pubblico è ancora incompleta, avendo mantenuto
il tabù, privo di fondamento costituzionale, che il giudice ordinario
non possa annullare gli atti amministrativi[16].<O:P</O:P
L’evoluzione verso la concentrazione è comunque oggi circoscritta
alle disposizioni già esaminate: innanzi all’A.G.O. per il pubblico
impiego (con il limite del divieto di annullamento) ed innanzi al TAR per
i servizi pubblici, urbanistica ed edilizia; nella generalità dei
casi si è ancora vincolati alla separazione tra l’azione di annullamento
e quella di risarcimento del danno.<O:P</O:P
Tornando al primo argomento della Cassazione (“non occorre l’annullamento
poiché non è più necessario basarsi su di una lesione
di diritto soggettivo”), esso non pare sufficiente a dimostrare l’inesistenza
della pregiudiziale di annullamento. Chi scrive, pur decisamene orientato
nel negare la necessità di diritti soggettivi a base delle azioni
di risarcimento, aveva ritenuto la pregiudiziale una logica conseguenza
del sistema. Ancora oggi ci sembra necessario ribadire tale convincimento
sulla base di una serie di considerazioni.<O:P</O:P
Anzitutto l’omissione dell’azione di annullamento in molti casi costituisce
comportamento non corretto di un danneggiato che deve tendere a ridurre
i danni, secondo quanto la giurisprudenza generale in tema di responsabilità
aquiliana gli impone. Spesso potrebbe costituire una malizioso comportamento,
volto a percepire un vantaggio superiore allo stesso ripristino della situazione
ante atto lesivo. Di fronte agli interessi pretensivi l’esistenza di un
atto di diniego differenzia in senso negativo la situazione rispetto sia
a chi non ha avuto alcuna risposta sia a chi ha ottenuto l’annullamento
del diniego: il primo si trova infatti di fronte ad una conferma diretta
della non spettanza del beneficio atteso, emessa dalla pubblica autorità
preposta dalla legge a questo compito.<O:P</O:P
Non sembra coerente con un sistema ispirato alla logica della non sovrapposizione
di competenze, che due giudici possano indifferentemente affrontare, sia
pure ad effetti solo in parte diversi, lo stesso identico problema. Questa
considerazione si puntualizza con le seguenti, ulteriori osservazioni:<O:P</O:P
a) l’azione base appare essere quella di annullamento: in tutte forme
di tutela è sempre primaria quella in forma specifica, essendo il
problema risarcitorio un completamento di quanto la reintegra non è
in grado di realizzare. Solo di fronte ad eccezionali situazioni o regole
che impediscono la reintegra (vedi accessione inversa), il risarcimento
coprirà il valore della mancata reintegra: in tutti gli altri casi
la reintegra soddisfa la maggior parte del danno ed il risarcimento è
destinato a coprire solo la differenza, normalmente consistente nei danni
subiti medio tempore. Se si sostenesse una tesi diversa sarebbe come se,
nei rapporti tra privati, di fronte ad una usurpazione di un bene mobile
o immobile, si ammettesse che l’usurpato, invece di chiederne la restituzione,
lo abbandonasse all’usurpante, chiedendo il risarcimento per la perdita.<O:P</O:P
b) la doppia tutela determinerebbe una serie di inconvenienti, non
sempre facilmente risolvibili dal giudice e talora difficili per anche
il legislatore:<O:P</O:P
b1) l’esigenza di certezza nell’azione amministrativa ha indotto il
legislatore a stabilire la regola della decadenza nella impugnazione degli
atti amministrativi; l’azione di responsabilità, sottoposta alle
più larghe regole della prescrizione, verrebbe normalmente intentata
contro situazioni in cui esiste un atto amministrativo inoppugnabile per
avvenuta decadenza: imporre alla P.A. il risarcimento equivarrebbe a sottoporla
ad una notevole pressione verso un annullamento d’ufficio, con ciò
vanificando gli obbiettivi di certezza dell’azione amministrativa, che
la regola della decadenza mira a garantire, non solo nei confronti della
P.A., ma anche nei confronti dei controinteressati;<O:P</O:P
b2) l’assenza dei controinteressati nel giudizio di responsabilità
ne esclude il diritto di difesa che avrebbero avuto nella più lineare
azione di annullamento contenzioso, pur potendo la vicenda concludersi
in loro danno, con l’annullamento d’ufficio motivato con l’interesse della
P.A. a contenere il risarcimento del danno;<O:P</O:P
b3) la doppia tutela potrebbe costituire non solo una possibilità
di scelta, ma una realtà effettiva, contemporanea o di momenti successivi,
con sovrapposizioni ed eventuali contrasti di giudicati, essendo possibili
più vicende:
— il cittadino intraprende contemporaneamente le due azioni; in questo
caso è da presumere che la giurisprudenza dica che il giudizio civile
resta sospeso per una pregiudizialità creata dallo stesso interessato;<O:P</O:P
— un cittadino ritiene preferibile l’azione di responsabilità;
altri cointeressati propongono tuttavia l’azione di annullamento. Il caso
potrebbe essere risolto come il precedente, ma significherebbe ampliare
alquanto l’ambito della necessaria pregiudizialità, che la teoria
della doppia tutela mira a negare;<O:P</O:P
— un cointeressato all’annullamento viene a conoscenza dell’atto con
molto ritardo e lo impugna dopo che l’azione di responsabilità è
stata già avviata da altri o si è addirittura conclusa; in
questo caso si rischia fortemente il contrasto di giudicati.<O:P</O:P
c) La lungaggine della doppia fase giurisdizionale, rilevata dalla
dottrina francese e dal Caranta[17], costituisce sicuramente un onere anomalo
per il cittadino, che potrebbe anche figurarsi come privilegio per la controparte
P.A., ma questo aspetto del problema non può trovare la soluzione
in un parallelismo di giurisdizioni. Se la pregiudiziale di annullamento
viola gli artt. 24 e 113 Cost., o addirittura norme sovranazionali (diritti
dell’uomo ad una giustizia tempestiva; sanzionamento tempestivo delle norme
comunitarie), occorre ricostruire il sistema con pronunzie aventi effetti
additivi immediati (Corte Costituzionale) o costituenti stimolo per il
legislatore nazionale (Corte Europea dei diritti dell’Uomo; Corte di Giustizia
delle Comunità Europee), che realizzino quel processo di concentrazione,
affidando ad un solo giudice l’obbligo di definire ogni aspetto della controversia,
ivi compresi quindi i diritti conseguenziali di tipo risarcitorio. Siffatte
pronunzie porterebbero comunque a soluzioni che escludano una scelta del
giudice da parte dell’interessato, così come oggi avviene per le
materie di cui agli artt. 33 e 34 del D. Legisl. 80/98, per le quali il
risarcimento può essere richiesto solo al giudice amministrativo.</O:P
Certamente, anche in assenza dell’auspicabile concentrazione delle
controversie, una giurisprudenza “pretoria” potrebbe riempire lacune della
normativa esplicita e risolvere questi ed eventuali altri problemi. Tuttavia
non può non lasciare perplessi che il sistema abbia lasciato privi
di soluzioni esplicite problemi di così ampia rilevanza, pur avendo
invece molto accuratamente disciplinato analoghe questioni in tema di rapporti
tra ricorso straordinario e ricorso giurisdizionale (art. 10 D.P.R. 24
novembre 1971, n. 1199; art. 34, comma 3, R.D. 26 giugno 1924, n. 1054),
questioni che comparativamente appaiono sicuramente meno rilevanti.<O:P</O:P
Queste riserve sulla teoria della doppia tutela sono forse destinate
a sparire, se, come è auspicabile e come le S.U. hanno auspicato,
il legislatore avanzerà verso un più chiaro riparto delle
giurisdizioni per materia, affidando ad un solo giudice ogni questione
relativa: diritti, interessi, annullamento e risarcimento. Fino a quando
siffatta riforma non sarà tuttavia attuata, riteniamo opportuno
che la Cassazione riveda la sua teoria, anche in considerazione del fatto
che essa non costituisce giudicato in senso tecnico su di un precedente,
dato che la teoria della doppia tutela non aveva rilevanza ai fini del
decidere sulla fattispecie concreta all’esame della Corte: nella specie,
infatti, vi era stato il precedente annullamento dell’atto lesivo.<O:P</O:P
[1] Piras, A., Interesse legittimo e giudizio amministrativo, I e II,
Giuffrè, 1962, cfr. II, p. 391-393, Virga, P., La tutela giurisdizionale
nei confronti della Pubblica amministrazione, Giuffrè, 1966, p.
68 e segg. e p. 116, nonché in Diritto amministrativo, II, Giuffrè,
1995, p. 242-243. Su analoghe posizioni: Cannada-Bartoli, E., L’inapplicabilità
degli atti amministrativi, Giuffrè, 1956, p. 157 e segg.; Gasparri,
Sulla risarcibilità dei danni subiti con la lesione di interessi
legittimi, in “Atti del convegno nazionale sull’ammissibilità del
risarcimento del danno patrimoniale derivante da lesione di interessi legittimi
(Napoli 27-29 ottobre 1963), Giuffrè, 1965, pp. 181-182; secondo
Klitsche del la Grange, La giurisdizione ordinaria nei confronti delle
pubbliche amministrazioni, Cedam, 1961, p. 186-187 e 229, la disapplicazione
può condurre addirittura alla condanna a restituire il bene espropriato.
Questa tesi della doppia tutela non va confusa con la teoria della doppia
tutela di Guicciardi, che era invece ben certo della necessità del
preventivo annullamento dell’atto: La giustizia amministrativa, Cedam,
p. 29. Per la suddetta opinione, cfr. anche Giannini, La giustizia amministrativa,
lezioni raccolte da R. Juso, Roma, pp. 90-91. Di recente il Caranta, R.,
si schiera per la tesi della libera scelta per il danneggiato di chiedere
il risarcimento senza il preventivo annullamento: cfr. La responsabilità
extracontrattuale della Pubblica Amministrazione, Giuffrè, 1993,
pag. 449 e segg.
[2] Di tale evoluzione riferisce il Bonasi, A, La responsabilità
delle Stato per gli atti dei suoi funzionari, in Rivista Italiana per le
Scienze Giuridiche, 1886, p. 3 e segg.: cfr, in particolare, p. 29-31.
Il Bonasi era propugnatore di una tesi articolata che vedeva le Amministrazioni
pubbliche (ma non i funzionari) immuni da responsabilità nelle attività
di imperio e responsabili solo nelle attività iure privatorum. Riferisce
che il Procuratore Generale della Cassazione, De Falco, mentre nel discorso
inaugurale dell’anno giudiziario 1977 aderiva alla suddetta tesi di immunità
sovrana (sia pure parziale), successivamente riconobbe la responsabilità
degli enti pubblici anche nelle illegittimità attinenti alle attività
di diritto pubblico.
[3] Nei nostri studi in argomento si sono evidenziati numerosi articoli
della Costituzione, che impediscono al legislatore ordinario di comprimere
il vigente sistema di Stato di diritto istituendo o mantenendo privilegi
per gli enti pubblici. Certamente non sono possibili “sconti” in favore
del pubblico potere nel risarcimento del danno, a meno di negare lo Stato
di diritto. Come sappiamo, purtroppo, un passo indietro è stato
invece compiuto dalla Corte Costituzionale, con la sentenza 30 aprile 1999,
n. 148, che ha ammesso riduzioni quantitative dell’ammontare del risarcimento,
comprimendo, dall’alto del “facit de albo nigrum”, le tutele di cui agli
artt. 24 e 113 Cost., nonché della riserva di legge contenuta nell’art.
23, collegando la prestazione patrimoniale del sacrificio individuale della
minore riparazione non già ad una previsione normativa, come vorrebbe
la riserva di legge, ma al suo contrario, ossia alla violazione di legge.
Il tema è comunque complesso e ci si riserva di affrontarlo in un
separato lavoro.
[4] Si vedano, per tutti, gli approfondimenti di Caranta, R., in vari
scritti e da ultimo in La responsabilità, cit, specialmente da p.
348 e segg. Sul tema più generale del risarcimento del danno da
lesione degli interessi legittimi, cfr. le pagine 81 e segg.
[5]Per i rapporti su tale valutazione e la discrezionalità amministrativa,
Cfr.: Duni, G., Lo Stato e la responsabilità patrimoniale, Milano,
1968, p. 481 e segg. Per la quantificazione del danno, in correlazione
con l’ampiezza delle chances, Palmas, Il risarcimento del danno da lesione
di interessi legittimi in tema di appalti pubblici. La quantificazione
del danno, in Riv. amm. Rep.it., 1996, p. 1225 e segg., cfr. p. 1234 e
segg.
[6]Il punto, introdotto dalle S.U. per completezza e non in stretta
correlazione con il caso in esame, meriterebbe un approfondimento, in quanto
le illegittimità della P.A. il più delle volte sono frutto
di errore di diritto, inidoneo ad escludere il dolo civile (Duni, Lo Stato,
p. 443 e segg.); nel travisamento dei fatti può impostarsi un problema
di esistenza o meno della colpa, ma l’indagine appare sempre in salita
per l’autore del danno. Di qui la tesi della responsabilità per
“oggettiva illegalità dell’atto”, inesatta sul piano della stretta
teoria, ma alquanto aderente alla realtà giurisprudenziale (riscontrabile
fino ad oggi, ovviamente, per gli interessi oppositivi).
[7]Si vedano le argomentazioni di cui al punto n. 4 della sentenza
ed il nostro lavoro Lo Stato, cit., particolarmente sui temi relativi alla
tutela del patrimonio complessivo (pp. 26-27) e delle aspettative (p. 35
e segg.).
[8]Nei nostri studi in argomento avevamo legato l’interpretazione della
parola “ingiusto” esclusivamente alla assenza di cause di giustificazione
(Duni, Lo Stato, cit., p. 73 e segg.); sulla natura dell’interesse leso
si era ritenuto che nessun danno fosse consentito, se non chiaramente autorizzato
dall’ordinamento. L’interesse alla conservazione della consistenza patrimoniale
ed alle sue legittime espansioni è per principio giuridicamente
rilevante, a meno che nella fattispecie non si riscontrino elementi di
disfavore, in analogia con i concetti che la dottrina ha desunto dall’art.
1322 cod. civ. in materia contrattuale; interessi patrimoniali legati ad
attività illegali o anche solo immorali restano esclusi dalla tutela
della responsabilità aquiliana (ivi, p. 42).
[9]Duni, cit., p. 59 e segg.
[10] Si ritiene utile riportare il testo della disposizione citata:
h) previsione, per i casi di mancato rispetto del termine del procedimento,
di mancata o ritardata adozione del provvedimento, di ritardato o incompleto
assolvimento degli obblighi e delle prestazioni da parte della pubblica
amministrazione, di forme di indennizzo automatico e forfettario a favore
dei soggetti richiedenti il provvedimento; contestuale individuazione delle
modalita' di pagamento e degli uffici che assolvono all'obbligo di corrispondere
l'indennizzo, assicurando la massima pubblicita' e conoscenza da parte
del pubblico delle misure adottate e la massima celerita' nella corresponsione
dell'indennizzo stesso.
[11]Cfr.:, retro, nota n. 1.
[12] Da ultimo, cfr.: Cafagno, M., La tutela risarcitoria degli interessi
legittimi, Giuffrè, 1996, p. 62.
[13]Duni, Lo Stato, p. 480-481.
[14] Palmas, cit., p. 1237.<O:P</O:P
[15] Questo sarebbe il fondamento logico della tesi della pregiudizialità
secondo Caranta, La responsabilità, p. 453. Il Caranta, elogiando
la differente soluzione francese, critica il sistema italiano soprattutto
con argomenti che evidenziano la lungaggine imposta dalla pregiudizialità,
considerata una forma di protezione dell’ente pubblico.
[16] Occorre interpretare e coordinare il primo comma dell’art. 103
della Costituzione e l’ultimo comma dell’art. 113. La prima disposizione
affida al Consiglio di Stato la tutela degli interessi legittimi; non sembra
che se ne debba dedurre l’impossibilità che altri giudici siano
investiti di controversie ad essi attinenti, altrimenti lo stesso trasferimento
della materia del lavoro pubblico al giudice ordinario sarebbe incostituzionale,
a meno che non la si interpreti nel senso della non concentrazione, essendo
rimasto al giudice amministrativo il potere di giudicare degli interessi
legittimi che possono coesistere nella fattispecie concreta. La vecchia
giurisdizione esclusiva, secondo questa interpretazione, non si sarebbe
trasferita, ma sarebbe semplicemente soppressa, facendosi ricadere ogni
problema nei principi generali del riparto delle giurisdizioni. È
da ritenere, tuttavia, che la disposizione dell’art. 103 non sia preclusiva
nei confronti dell’attribuzione ad altri giudici di competenze relative
ad interessi legittimi; quindi possiamo convenire che la giurisdizione
esclusiva si sia trasferita dal TAR al giudice ordinario, (salvo quanto
appresso).
Questa interpretazione dell’art. 103 sembra confermata dall’ultimo
comma dell’art. 113, che non assegna in modo esclusivo al giudice amministrativo
il potere di annullamento degli atti, ma anzi espressamente prevede che
sia il legislatore ordinario a stabilire gli organi che potranno annullarli.
Non avere utilizzato correttamente l’art. 113, sottraendo al giudice ordinario
questo potere e prevedendo la sola disapplicazione, ci sembra una ingiustificata
incongruenza ed un passo indietro nel cammino della concentrazione; molte
volte il cittadino pubblico dipendente sarà costretto ad intentare
separatamente l’azione patrimoniale e quella di annullamento, con oneri
raddoppiati rispetto al sistema della precedente giurisdizione esclusiva.
Un precedente legislativo, anche se limitato, di annullamento di atti
amministrativi, si rinviene nell’ultimo comma dell’art. 7 della L. 8 agosto
1985, n. 443, che prevede l’impugnazione innanzi al giudice ordinario delle
decisioni della commissione regionale per l’artigianato in tema di iscrizioni
nell’albo delle imprese artigiane.
[17] Cfr. nota 15.
|