Interessi legittimi, risarcimento del danno e doppia tutela. 

La Cassazione rivoluziona l’orientamento in materia di risarcibilità del danno da lesione di interessi legittimi.

di  Giovanni Duni
                 
1) Premessa.
Questo scritto si aggiungerà ai molteplici che commenteranno la sentenza Cass. S.U. 22 luglio 1999, n. 500. Chi però fin dal 1968 aveva propugnato le tesi finalmente accolte dalla Cassazione, è naturalmente stimolato ad un raffronto tra quelle teorie e questa pronunzia e non può tacere nel momento storico in cui la giustizia amministrativa italiana si adegua ai livelli europei.<O:P</O:P 
La sentenza, rivoluzionando una materia nella quale soluzioni insoddisfacenti sembravano pietrificate, ha una motivazione di encomiabile ampiezza e profondità di analisi. Come autore che trattò il tema in passato, seguendone gli sviluppi successivi nell’ambito della didattica ed attraverso approfondimenti di allievi, ho letto la sentenza con la massima attenzione e devo confermare un giudizio, ampiamente positivo sulla prima parte, non scalfito da qualche rilievo, che pure è necessario fare: sarebbe invero eccessivo pretendere un’assoluta coincidenza di impostazione, motivazione e conclusioni tra liberi pensatori, in una materia così articolata e complessa.<O:P</O:P 
Anzitutto va sottolineato che la sentenza realizza due rivoluzioni e non una sola: la prima attiene al tema che anche la stampa quotidiana ha divulgato: la risarcibiltà dei danni da lesione di interessi legittimi; la seconda attiene ad un enorme ampliamento dell’ambito della disapplicazione degli atti amministrativi, rilanciando la tesi della doppia tutela[1], che non ci sembra tuttavia condivisibile.<O:P</O:P 
2) In merito alla risarcibilità del danno.<O:P</O:P 
Di fronte ad una sentenza così articolata, argomentata e documentata (soprattutto sulla giurisprudenza) un commento rischia di diventare una parafrasi. Ci si limiterà quindi a sottolinearne: I) la posizione che va ad assumere nella storia della giustizia amministrativa; II) alcuni passaggi significativi.<O:P</O:P 
I) Nella evoluzione della giustizia amministrativa la sentenza deve essere considerata un essenziale completamento della evoluzione del processo che – partendo dalla immunità sovrana – ha via via sottoposto le pubbliche amministrazioni al controllo di giudici indipendenti, in controversie instaurate da cittadini che lamentavano illegalità commesse in loro danno, costruendo quei principiî che prendono il nome di Stato di diritto. Nella cronologia sono essenziali i richiami soprattutto:<O:P</O:P 
all’allegato E della L. 20 marzo 1865, n. 2248;<O:P</O:P 
all’evoluzione della giurisprudenza della Corte di Cassazione di Roma negli anni 1877-81[2];
alla istituzione della IV sezione del Consiglio di Stato: L. 31 marzo 1889, n. 5992;<O:P</O:P 
alla costituzionalizzazione dei principi dello Stato di diritto nel 1948[3];<O:P</O:P 
alla sopravvenienza, sempre più penetrante, del diritto comunitario[4]: non tanto con la stessa approvazione del Trattato di Roma, quanto attraverso l’evoluzione tramite talune direttive e la giurisprudenza sulla responsabilità verso terzi per violazione di norme comunitarie (giurisprudenza iniziata con la famosa Corte Giust. CE, 19 novembre 1991, Francovich).<O:P</O:P 
II) I passaggi più significativi della sentenza che si commenta sono i seguenti:<O:P</O:P 
a) Ai fini della tutela della responsabilità aquiliana (art. 2043 cod. civ.) gli interessi legittimi sono equiparati sia ai diritti soggettivi sia alle aspettative meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento.<O:P</O:P 
b) Si attenua l’importanza della differenziazione tra gli interessi oppositivi (i soli fino ad ora ammessi alla tutela risarcitoria) e quelli pretensivi. Per questi ultimi l’accertamento del danno consiste nella valutazione della “fondatezza o meno della istanza, onde stabilire se il pretendente fosse titolare non già di una mera aspettativa, come tale non tutelabile, bensì di una situazione suscettiva di determinare un oggettivo affidamento circa la sua conclusione positiva...”[5].<O:P</O:P 
c) Occorre, nelle varie fattispecie concrete, accertare il dolo o la colpa della P.A., non essendo sufficiente l’esecuzione volontaria di un atto amministrativo illegittimo[6].<O:P</O:P 
d) Il legislatore ha dimostrato di orientarsi verso il riconoscimento della risarcibilità: il D. Legisl. 31 marzo 1998, n. 80, nell’introdurre le giurisdizioni esclusive di cui agli artt. 33 e 34, ha affidato al T.A.R. anche il risarcimento del danno ingiusto (art. 35, comma 1). Le S.U. hanno dato il giusto rilievo a questa norma innovativa: se il primo comma dell’art. 35 del D. Legisl. 80 fosse limitato alle pronunzie su fattispecie di interessi legittimi oppositivi, la portata della disposizione — considerate le materie di cui agli artt. 33 e 34 — sarebbe stata quasi trascurabile; la Cassazione, pur senza affrontare esplicitamente questo dubbio, opta implicitamente per il significato più ampio, comprensivo anche degli interessi legittimi pretensivi ed è auspicabile che anche la giurisdizione amministrativa dia la stessa interpretazione.<O:P</O:P 
e) Sul concetto di “danno ingiusto”, di cui all’art. 2043 cod. civ., pur in presenza di una giurisprudenza nella sua generalità restrittiva, legata alla lesione di un diritto soggettivo, si riscontrano varie pronunzie orientate verso soluzioni più aperte, sovente mascherando sotto il riconoscimento del diritto soggettivo situazioni che tali non erano, ma che pure meritavano di essere tutelate[7]. Nei rapporti con la P.A., la giurisprudenza era tuttavia ancora ferma alla ricerca di un diritto soggettivo, da tutelare con giudizio successivo a quello innanzi al T.A.R., sia nelle ipotesi di “diritti affievoliti”, sia in quelle di “diritti in attesa di espansione”, quando si siano effettivamente espansi a seguito di un atto di autorizzazione o di concessione; una successiva revoca o annullamento d’ufficio, se a loro volta annullati in sede giurisdizionale, ripristinando la situazione di vantaggio, aprivano la strada al risarcimento del danno.<O:P</O:P 
f) Le S.U. intendono superare la propria precedente giurisprudenza che condizionava l’accoglimento della domanda risarcitoria all’esistenza di un diritto soggettivo, più o meno artificiosamente ricostruito. La ricostruzione del significato da dare all’art. 2043 cod. civ., rilevante in tutti i rapporti giuridici e non solo in quelli cittadino-P.A., va quindi impostata nei termini seguenti:<O:P</O:P 
f1) la disposizione non contempla alcuna limitazione del risarcimento alla lesione dei soli diritti soggettivi;<O:P</O:P 
f2) l’espressione “ingiusto” significa “in carenza di causa di giustificazione” e “lesivo di un interesse meritevole di tutela e quindi rilevante per l’ordinamento”[8];<O:P</O:P 
f3) sono meritevoli di tutela i diritti soggettivi assoluti o relativi, gli interessi legittimi pretensivi ed oppositivi ed ogni altro interesse giuridicamente rilevante;<O:P</O:P 
f4) l’art. 2043 non è quindi una norma meramente sanzionatoria, ma primaria, da sola sufficiente ad identificare l’illecito civile, come fattispecie atipica[9].<O:P</O:P 
g) Rileva ai fini di una ricostruzione dell’evoluzione, la normativa che prevede il risarcimento del danno derivante da violazione di norme comunitarie in tema di appalti (L. 19 febbraio 1992, n. 142, e successive modificazioni). Pur avendo la Cassazione sentenziato precedentemente per la tassatività della previsione, imposta da direttive comunitarie ma ritenuta dalla S.C. una sorta di deroga ai principi dell’ordinamento italiano, la norma assume rilevanza significativa in questo momento di revisione dell’orientamento giurisprudenziale, tenuto conto del “primato incontroverso” dell’ordinamento comunitario.<O:P</O:P 
In aggiunta agli argomenti esposti, a sostegno dell’evoluzione già in corso, potrebbe essere ricordata la lettera h, del comma 5, dell’art. 20 della L. 15 marzo 1997, n. 59, che nell’ambito di ampie deleghe al Governo, prevede un “indennizzo automatico e forfettario” per il ritardo nella emanazione dei provvedimenti amministrativi; norma che acquista un significato di progresso in quanto si riferisce evidentemente agli interessi pretensivi lesi dal ritardo[10].<O:P</O:P 
Concludendo, la sentenza che si commenta, nella sua parte essenziale fin qui esaminata, realizza una innovazione di estrema importanza nel perfezionamento delle caratteristiche di uno “Stato di diritto”, ossia di un ordinamento nel quale la Pubblica autorità non goda di privilegi più o meno ammantati di tecnicismi giuridici, ma che comunque si risolvevano in sostanziali ingiustizie nei confronti del cittadino, vittima di illegittimità non seguite da riparazione del danno. Come si è detto in premessa, le marginali riserve, più sopra indicate in alcune note, non intaccano l’importanza della conclusione e la dovizia di argomentazioni a supporto.<O:P</O:P 
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3) La “non pregiudizialità del giudizio di annullamento”.<O:P</O:P 
Nell’intento di completare il quadro delle innovazioni che si sono introdotte con la rivoluzionaria sentenza, le S.U., nell’ultima parte della motivazione, hanno ritenuto di affermare che l’azione per il risarcimento del danno può essere esercitata senza il preventivo annullamento dell’atto lesivo. Ciò sia nel campo degli interessi pretensivi che in quello degli interessi oppositivi.<O:P</O:P 
Già parte della dottrina aveva affermato, in contrasto con la precedente giurisprudenza, la esplicabilità della doppia tutela nei confronti della P.A. che ha emanato un atto lesivo di interessi legittimi oppositivi. In applicazione dell’all. E della famosa L. 20 marzo 1865, n. 2248, l’atto amministrativo sarebbe stato disapplicato dal giudice ordinario, che in tale modo avrebbe potuto conoscere dell’illiceità dell’azione amministrativa e condannare al risarcimento del danno[11].<O:P</O:P 
La giurisprudenza, con l’assenso della maggioranza della dottrina, riteneva tuttavia che, istituito il giudice degli interessi con la L. 31 marzo 1889, n. 5992, una simile disapplicazione ne avrebbe aggirato la sfera giurisdizionale perché “il giudice ordinario avrebbe conosciuto della illegittimità dell’atto non incidenter tantum, ma principaliter”[12].<O:P</O:P 
Chi scrive aveva poi anche sottolineato che l’azione di annullamento costituisce anche un doveroso comportamento del “buon danneggiato”, che, conformemente a più generali principi giurisprudenziali in tema di responsabilità civile, è tenuto ad attivarsi per contenere il danno: diversa è infatti il l’entità del danno per i soli effetti prodotti dall’atto medio tempore, rispetto al maggior danno di un atto non rimosso e destinato a restare efficace in perpetuo (salvo l’eventuale annullamento in sede di autotutela). Per gli interessi legittimi pretensivi l’annullamento del diniego conferisce concretezza alla dimostrazione del lucro cessante[13] ed incrementa l’aspetto probabilistico delle chances, soprattutto in ragione del tipo di vizio riscontrato[14].<O:P</O:P 
La Cassazione, nella sentenza che si commenta, ha ritenuto di mutare orientamento, considerando che la precedente giurisprudenza di segno opposto era basata sulla necessaria ricerca di un diritto soggettivo da tutelare nell’azione di risarcimento del danno: secondo la consolidata impostazione il diritto affievolito si riespande e la giurisdizione diventa quella ordinaria[15]. Con il mutamento giurisprudenziale, non essendo più necessario basare l’azione del risarcimento sul diritto soggettivo, verrebbe a mancare quella necessaria pregiudizialità dell’annullamento, quale presupposto della riviviscenza di tale situazione soggettiva. Per l’applicazione dell’art. 2043 cod. civ. sarebbe quindi sufficiente far valere l’illegittimità dell’azione amministrativa direttamente innanzi al giudice ordinario.<O:P</O:P 
Le S.U. prospettano inoltre un più ampio scenario del riparto delle giurisdizioni, alla luce del D. Legisl. 80/1998: alcune materie verrebbero attribuite al giudice amministrativo con pienezza di cognizione esclusiva e risarcitoria, mentre negli altri campi si realizzerebbe analoga “concentrazione di tutela” innanzi al giudice ordinario, “come espressamente prevede l’art. 68, comma 1, del D. Legisl. 29/1993, nel testo sostituito dall’art. 29, comma 1, del D. Legisl. 80/1998, per la materia del lavoro”.<O:P</O:P 
Non può non apprezzarsi l’intento di tutela del cittadino che è alla base di queste nuove concezioni della Cassazione. Ci sembra tuttavia che si sia spostato allo ius conditum considerazioni apprezzabili come ius condendum.<O:P</O:P 
Una riforma seria della tutela del cittadino nei confronti della P.A. dovrà sicuramente essere orientata nel senso della concentrazione innanzi ad un unico giudice delle azioni di annullamento, di tutela di diritti ed interessi e di risarcimento del danno. La stessa giurisdizione nella materia del lavoro pubblico è ancora incompleta, avendo mantenuto il tabù, privo di fondamento costituzionale, che il giudice ordinario non possa annullare gli atti amministrativi[16].<O:P</O:P 
L’evoluzione verso la concentrazione è comunque oggi circoscritta alle disposizioni già esaminate: innanzi all’A.G.O. per il pubblico impiego (con il limite del divieto di annullamento) ed innanzi al TAR per i servizi pubblici, urbanistica ed edilizia; nella generalità dei casi si è ancora vincolati alla separazione tra l’azione di annullamento e quella di risarcimento del danno.<O:P</O:P 
Tornando al primo argomento della Cassazione (“non occorre l’annullamento poiché non è più necessario basarsi su di una lesione di diritto soggettivo”), esso non pare sufficiente a dimostrare l’inesistenza della pregiudiziale di annullamento. Chi scrive, pur decisamene orientato nel negare la necessità di diritti soggettivi a base delle azioni di risarcimento, aveva ritenuto la pregiudiziale una logica conseguenza del sistema. Ancora oggi ci sembra necessario ribadire tale convincimento sulla base di una serie di considerazioni.<O:P</O:P 
Anzitutto l’omissione dell’azione di annullamento in molti casi costituisce comportamento non corretto di un danneggiato che deve tendere a ridurre i danni, secondo quanto la giurisprudenza generale in tema di responsabilità aquiliana gli impone. Spesso potrebbe costituire una malizioso comportamento, volto a percepire un vantaggio superiore allo stesso ripristino della situazione ante atto lesivo. Di fronte agli interessi pretensivi l’esistenza di un atto di diniego differenzia in senso negativo la situazione rispetto sia a chi non ha avuto alcuna risposta sia a chi ha ottenuto l’annullamento del diniego: il primo si trova infatti di fronte ad una conferma diretta della non spettanza del beneficio atteso, emessa dalla pubblica autorità preposta dalla legge a questo compito.<O:P</O:P 
Non sembra coerente con un sistema ispirato alla logica della non sovrapposizione di competenze, che due giudici possano indifferentemente affrontare, sia pure ad effetti solo in parte diversi, lo stesso identico problema. Questa considerazione si puntualizza con le seguenti, ulteriori osservazioni:<O:P</O:P 
a) l’azione base appare essere quella di annullamento: in tutte forme di tutela è sempre primaria quella in forma specifica, essendo il problema risarcitorio un completamento di quanto la reintegra non è in grado di realizzare. Solo di fronte ad eccezionali situazioni o regole che impediscono la reintegra (vedi accessione inversa), il risarcimento coprirà il valore della mancata reintegra: in tutti gli altri casi la reintegra soddisfa la maggior parte del danno ed il risarcimento è destinato a coprire solo la differenza, normalmente consistente nei danni subiti medio tempore. Se si sostenesse una tesi diversa sarebbe come se, nei rapporti tra privati, di fronte ad una usurpazione di un bene mobile o immobile, si ammettesse che l’usurpato, invece di chiederne la restituzione, lo abbandonasse all’usurpante, chiedendo il risarcimento per la perdita.<O:P</O:P 
b) la doppia tutela determinerebbe una serie di inconvenienti, non sempre facilmente risolvibili dal giudice e talora difficili per anche il legislatore:<O:P</O:P 
b1) l’esigenza di certezza nell’azione amministrativa ha indotto il legislatore a stabilire la regola della decadenza nella impugnazione degli atti amministrativi; l’azione di responsabilità, sottoposta alle più larghe regole della prescrizione, verrebbe normalmente intentata contro situazioni in cui esiste un atto amministrativo inoppugnabile per avvenuta decadenza: imporre alla P.A. il risarcimento equivarrebbe a sottoporla ad una notevole pressione verso un annullamento d’ufficio, con ciò vanificando gli obbiettivi di certezza dell’azione amministrativa, che la regola della decadenza mira a garantire, non solo nei confronti della P.A., ma anche nei confronti dei controinteressati;<O:P</O:P 
b2) l’assenza dei controinteressati nel giudizio di responsabilità ne esclude il diritto di difesa che avrebbero avuto nella più lineare azione di annullamento contenzioso, pur potendo la vicenda concludersi in loro danno, con l’annullamento d’ufficio motivato con l’interesse della P.A. a contenere il risarcimento del danno;<O:P</O:P 
b3) la doppia tutela potrebbe costituire non solo una possibilità di scelta, ma una realtà effettiva, contemporanea o di momenti successivi, con sovrapposizioni ed eventuali contrasti di giudicati, essendo possibili più vicende:
— il cittadino intraprende contemporaneamente le due azioni; in questo caso è da presumere che la giurisprudenza dica che il giudizio civile resta sospeso per una pregiudizialità creata dallo stesso interessato;<O:P</O:P 
— un cittadino ritiene preferibile l’azione di responsabilità; altri cointeressati propongono tuttavia l’azione di annullamento. Il caso potrebbe essere risolto come il precedente, ma significherebbe ampliare alquanto l’ambito della necessaria pregiudizialità, che la teoria della doppia tutela mira a negare;<O:P</O:P 
— un cointeressato all’annullamento viene a conoscenza dell’atto con molto ritardo e lo impugna dopo che l’azione di responsabilità è stata già avviata da altri o si è addirittura conclusa; in questo caso si rischia fortemente il contrasto di giudicati.<O:P</O:P 
c) La lungaggine della doppia fase giurisdizionale, rilevata dalla dottrina francese e dal Caranta[17], costituisce sicuramente un onere anomalo per il cittadino, che potrebbe anche figurarsi come privilegio per la controparte P.A., ma questo aspetto del problema non può trovare la soluzione in un parallelismo di giurisdizioni. Se la pregiudiziale di annullamento viola gli artt. 24 e 113 Cost., o addirittura norme sovranazionali (diritti dell’uomo ad una giustizia tempestiva; sanzionamento tempestivo delle norme comunitarie), occorre ricostruire il sistema con pronunzie aventi effetti additivi immediati (Corte Costituzionale) o costituenti stimolo per il legislatore nazionale (Corte Europea dei diritti dell’Uomo; Corte di Giustizia delle Comunità Europee), che realizzino quel processo di concentrazione, affidando ad un solo giudice l’obbligo di definire ogni aspetto della controversia, ivi compresi quindi i diritti conseguenziali di tipo risarcitorio. Siffatte pronunzie porterebbero comunque a soluzioni che escludano una scelta del giudice da parte dell’interessato, così come oggi avviene per le materie di cui agli artt. 33 e 34 del D. Legisl. 80/98, per le quali il risarcimento può essere richiesto solo al giudice amministrativo.</O:P 
Certamente, anche in assenza dell’auspicabile concentrazione delle controversie, una giurisprudenza “pretoria” potrebbe riempire lacune della normativa esplicita e risolvere questi ed eventuali altri problemi. Tuttavia non può non lasciare perplessi che il sistema abbia lasciato privi di soluzioni esplicite problemi di così ampia rilevanza, pur avendo invece molto accuratamente disciplinato analoghe questioni in tema di rapporti tra ricorso straordinario e ricorso giurisdizionale (art. 10 D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199; art. 34, comma 3, R.D. 26 giugno 1924, n. 1054), questioni che comparativamente appaiono sicuramente meno rilevanti.<O:P</O:P 
Queste riserve sulla teoria della doppia tutela sono forse destinate a sparire, se, come è auspicabile e come le S.U. hanno auspicato, il legislatore avanzerà verso un più chiaro riparto delle giurisdizioni per materia, affidando ad un solo giudice ogni questione relativa: diritti, interessi, annullamento e risarcimento. Fino a quando siffatta riforma non sarà tuttavia attuata, riteniamo opportuno che la Cassazione riveda la sua teoria, anche in considerazione del fatto che essa non costituisce giudicato in senso tecnico su di un precedente, dato che la teoria della doppia tutela non aveva rilevanza ai fini del decidere sulla fattispecie concreta all’esame della Corte: nella specie, infatti, vi era stato il precedente annullamento dell’atto lesivo.<O:P</O:P 

[1] Piras, A., Interesse legittimo e giudizio amministrativo, I e II, Giuffrè, 1962, cfr. II, p. 391-393, Virga, P., La tutela giurisdizionale nei confronti della Pubblica amministrazione, Giuffrè, 1966, p. 68 e segg. e p. 116, nonché in Diritto amministrativo, II, Giuffrè, 1995, p. 242-243. Su analoghe posizioni: Cannada-Bartoli, E., L’inapplicabilità degli atti amministrativi, Giuffrè, 1956, p. 157 e segg.; Gasparri, Sulla risarcibilità dei danni subiti con la lesione di interessi legittimi, in “Atti del convegno nazionale sull’ammissibilità del risarcimento del danno patrimoniale derivante da lesione di interessi legittimi (Napoli 27-29 ottobre 1963), Giuffrè, 1965, pp. 181-182; secondo Klitsche del la Grange, La giurisdizione ordinaria nei confronti delle pubbliche amministrazioni, Cedam, 1961, p. 186-187 e 229, la disapplicazione può condurre addirittura alla condanna a restituire il bene espropriato. Questa tesi della doppia tutela non va confusa con la teoria della doppia tutela di Guicciardi, che era invece ben certo della necessità del preventivo annullamento dell’atto: La giustizia amministrativa, Cedam, p. 29. Per la suddetta opinione, cfr. anche Giannini, La giustizia amministrativa, lezioni raccolte da R. Juso, Roma, pp. 90-91. Di recente il Caranta, R., si schiera per la tesi della libera scelta per il danneggiato di chiedere il risarcimento senza il preventivo annullamento: cfr. La responsabilità extracontrattuale della Pubblica Amministrazione, Giuffrè, 1993, pag. 449 e segg.
[2] Di tale evoluzione riferisce il Bonasi, A, La responsabilità delle Stato per gli atti dei suoi funzionari, in Rivista Italiana per le Scienze Giuridiche, 1886, p. 3 e segg.: cfr, in particolare, p. 29-31. Il Bonasi era propugnatore di una tesi articolata che vedeva le Amministrazioni pubbliche (ma non i funzionari) immuni da responsabilità nelle attività di imperio e responsabili solo nelle attività iure privatorum. Riferisce che il Procuratore Generale della Cassazione, De Falco, mentre nel discorso inaugurale dell’anno giudiziario 1977 aderiva alla suddetta tesi di immunità sovrana (sia pure parziale), successivamente riconobbe la responsabilità degli enti pubblici anche nelle illegittimità attinenti alle attività di diritto pubblico.
[3] Nei nostri studi in argomento si sono evidenziati numerosi articoli della Costituzione, che impediscono al legislatore ordinario di comprimere il vigente sistema di Stato di diritto istituendo o mantenendo privilegi per gli enti pubblici. Certamente non sono possibili “sconti” in favore del pubblico potere nel risarcimento del danno, a meno di negare lo Stato di diritto. Come sappiamo, purtroppo, un passo indietro è stato invece compiuto dalla Corte Costituzionale, con la sentenza 30 aprile 1999, n. 148, che ha ammesso riduzioni quantitative dell’ammontare del risarcimento, comprimendo, dall’alto del “facit de albo nigrum”, le tutele di cui agli artt. 24 e 113 Cost., nonché della riserva di legge contenuta nell’art. 23, collegando la prestazione patrimoniale del sacrificio individuale della minore riparazione non già ad una previsione normativa, come vorrebbe la riserva di legge, ma al suo contrario, ossia alla violazione di legge. Il tema è comunque complesso e ci si riserva di affrontarlo in un separato lavoro.
[4] Si vedano, per tutti, gli approfondimenti di Caranta, R., in vari scritti e da ultimo in La responsabilità, cit, specialmente da p. 348 e segg. Sul tema più generale del risarcimento del danno da lesione degli interessi legittimi, cfr. le pagine 81 e segg.
[5]Per i rapporti su tale valutazione e la discrezionalità amministrativa, Cfr.: Duni, G., Lo Stato e la responsabilità patrimoniale, Milano, 1968, p. 481 e segg. Per la quantificazione del danno, in correlazione con l’ampiezza delle chances, Palmas, Il risarcimento del danno da lesione di interessi legittimi in tema di appalti pubblici. La quantificazione del danno, in Riv. amm. Rep.it., 1996, p. 1225 e segg., cfr. p. 1234 e segg.
[6]Il punto, introdotto dalle S.U. per completezza e non in stretta correlazione con il caso in esame, meriterebbe un approfondimento, in quanto le illegittimità della P.A. il più delle volte sono frutto di errore di diritto, inidoneo ad escludere il dolo civile (Duni, Lo Stato, p. 443 e segg.); nel travisamento dei fatti può impostarsi un problema di esistenza o meno della colpa, ma l’indagine appare sempre in salita per l’autore del danno. Di qui la tesi della responsabilità per “oggettiva illegalità dell’atto”, inesatta sul piano della stretta teoria, ma alquanto aderente alla realtà giurisprudenziale (riscontrabile fino ad oggi, ovviamente, per gli interessi oppositivi).
[7]Si vedano le argomentazioni di cui al punto n. 4 della sentenza ed il nostro lavoro Lo Stato, cit., particolarmente sui temi relativi alla tutela del patrimonio complessivo (pp. 26-27) e delle aspettative (p. 35 e segg.).
[8]Nei nostri studi in argomento avevamo legato l’interpretazione della parola “ingiusto” esclusivamente alla assenza di cause di giustificazione (Duni, Lo Stato, cit., p. 73 e segg.); sulla natura dell’interesse leso si era ritenuto che nessun danno fosse consentito, se non chiaramente autorizzato dall’ordinamento. L’interesse alla conservazione della consistenza patrimoniale ed alle sue legittime espansioni è per principio giuridicamente rilevante, a meno che nella fattispecie non si riscontrino elementi di disfavore, in analogia con i concetti che la dottrina ha desunto dall’art. 1322 cod. civ. in materia contrattuale; interessi patrimoniali legati ad attività illegali o anche solo immorali restano esclusi dalla tutela della responsabilità aquiliana (ivi, p. 42).
[9]Duni, cit., p. 59 e segg.
[10] Si ritiene utile riportare il testo della disposizione citata:
h) previsione, per i casi di mancato rispetto del termine del procedimento, di mancata o ritardata adozione del provvedimento, di ritardato o incompleto assolvimento degli obblighi e delle prestazioni da parte della pubblica amministrazione, di forme di indennizzo automatico e forfettario a favore dei soggetti richiedenti il provvedimento; contestuale individuazione delle modalita' di pagamento e degli uffici che assolvono all'obbligo di corrispondere l'indennizzo, assicurando la massima pubblicita' e conoscenza da parte del pubblico delle misure adottate e la massima celerita' nella corresponsione dell'indennizzo stesso.
[11]Cfr.:, retro, nota n. 1.
[12] Da ultimo, cfr.: Cafagno, M., La tutela risarcitoria degli interessi legittimi, Giuffrè, 1996, p. 62.
[13]Duni, Lo Stato, p. 480-481.
[14] Palmas, cit., p. 1237.<O:P</O:P 
[15] Questo sarebbe il fondamento logico della tesi della pregiudizialità secondo Caranta, La responsabilità, p. 453. Il Caranta, elogiando la differente soluzione francese, critica il sistema italiano soprattutto con argomenti che evidenziano la lungaggine imposta dalla pregiudizialità, considerata una forma di protezione dell’ente pubblico.
[16] Occorre interpretare e coordinare il primo comma dell’art. 103 della Costituzione e l’ultimo comma dell’art. 113. La prima disposizione affida al Consiglio di Stato la tutela degli interessi legittimi; non sembra che se ne debba dedurre l’impossibilità che altri giudici siano investiti di controversie ad essi attinenti, altrimenti lo stesso trasferimento della materia del lavoro pubblico al giudice ordinario sarebbe incostituzionale, a meno che non la si interpreti nel senso della non concentrazione, essendo rimasto al giudice amministrativo il potere di giudicare degli interessi legittimi che possono coesistere nella fattispecie concreta. La vecchia giurisdizione esclusiva, secondo questa interpretazione, non si sarebbe trasferita, ma sarebbe semplicemente soppressa, facendosi ricadere ogni problema nei principi generali del riparto delle giurisdizioni. È da ritenere, tuttavia, che la disposizione dell’art. 103 non sia preclusiva nei confronti dell’attribuzione ad altri giudici di competenze relative ad interessi legittimi; quindi possiamo convenire che la giurisdizione esclusiva si sia trasferita dal TAR al giudice ordinario, (salvo quanto appresso).
Questa interpretazione dell’art. 103 sembra confermata dall’ultimo comma dell’art. 113, che non assegna in modo esclusivo al giudice amministrativo il potere di annullamento degli atti, ma anzi espressamente prevede che sia il legislatore ordinario a stabilire gli organi che potranno annullarli. Non avere utilizzato correttamente l’art. 113, sottraendo al giudice ordinario questo potere e prevedendo la sola disapplicazione, ci sembra una ingiustificata incongruenza ed un passo indietro nel cammino della concentrazione; molte volte il cittadino pubblico dipendente sarà costretto ad intentare separatamente l’azione patrimoniale e quella di annullamento, con oneri raddoppiati rispetto al sistema della precedente giurisdizione esclusiva.
Un precedente legislativo, anche se limitato, di annullamento di atti amministrativi, si rinviene nell’ultimo comma dell’art. 7 della L. 8 agosto 1985, n. 443, che prevede l’impugnazione innanzi al giudice ordinario delle decisioni della commissione regionale per l’artigianato in tema di iscrizioni nell’albo delle imprese artigiane. 
[17] Cfr. nota 15.