Professioni e imprese nel diritto comunitario

La diversità della nozione di impresa e il futuro delle professioni

Di Gaetano Viciconte

L’equiparazione tra imprese e professioni operata sulla base dei principi comunitari di tutela della concorrenza costituisce l’elemento centrale del dibattito attualmente in corso sul futuro delle professioni in Italia e in Europa. In particolare, la nozione di impresa recepita nel nostro ordinamento appare del tutto diversa da quella elaborata nell’ordinamento comunitario, al punto da determinare una complessa problematica circa i rapporti tra le due nozioni. Invero, nel nostro sistema legislativo, si rinviene con chiarezza la nozione di imprenditore all’art.2082 c.c. come il soggetto che svolge un’attività economica finalizzata alla produzione o allo scambio di beni e di servizi. Da tale definizione sono esclusi i professionisti intellettuali, in quanto essi godono di un regime speciale, privilegiato rispetto a quello comune dell’imprenditore, in base al quale non viene applicato quel complesso di norme che possono individuarsi come lo statuto dell’imprenditore (Galgano, Le professioni intellettuali e il concetto comunitario di impresa, in Contratto e impresa/Europa, 1997, 3-4)
In ambito comunitario, invece, manca una nozione precisa di impresa o di imprenditore, giacché il termine “impresa”, pur essendo utilizzato più volte dal Trattato, non è mai compiutamente definito. L’elaborazione di una precisa definizione deriva dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, la quale è approdata con la sentenza del 23 aprile 1991, in causa C-41/90, sul caso Hofner e Elser ad un’ampia nozione di impresa, con riferimento a qualsiasi entità che esercita un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico di detta entità e delle sue modalità di finanziamento (In tal senso si era già pronunciata la Commissione con la decisione RAI/Unitel del 26/5/78. Per un quadro completo dell’evoluzione della nozione di impresa in ambito comunitario, v. Scudiero, La nozione di impresa nella giurisprudenza della Corte di giustizia, in Foro it., 1994, IV, 113; Poillot-Peruzzetto e Luby, Le droit communautaire appliqué à l’’entreprise, Paris, 1998, 31 e ss.; Frignani e Waelbroeck, Disciplina della concorrenza nella CEE, Torino, 1996, 31 e ss.). Tale orientamento è stato successivamente ribadito dalla Corte di giustizia con la sentenze del 16 novembre 1995, causa C-244/94, Fédération francaise des sociétés d’assurances, nonché con l’ulteriore sentenza dell’11 dicembre 1997, causa C-55/96, Job Centre)
 Nell’ambito delle imprese rientrano, pertanto, anche le professioni intellettuali, come recentemente la Corte di Giustizia ha in modo espresso riconosciuto per la prima volta con la sentenza (18 giugno 1998, Commissione/Repubblica Italiana) con cui le tariffe degli spedizionieri doganali italiani sono state ritenute incompatibili con la disciplina europea sulla concorrenza. In particolare, la Corte sottolinea a chiare lettere l’applicazione degli artt.81 e 82 (ex artt. 85 e 86) del Trattato CE anche alle professioni intellettuali, nonostante che queste richiedano una preventiva autorizzazione per il loro svolgimento e che l’attività possa essere effettuata senza la combinazione di elementi materiali, immateriali e umani, ma soltanto sulla base di mera attività intellettuale. (Sulle conseguenze derivanti da tale pronuncia, v. F.M. Doré, Professioni e impresa tra diritto interno e comunitario: il problema delle tariffe, in Corr. giur., 1999, n. 1, 45 e ss.).
Appare, pertanto, netta la diversa prospettiva che ispira la definizione di impresa nei due ordinamenti, quello interno e quello comunitario. Nell’ordinamento nazionale la nozione è diretta a delineare una disciplina soggettiva, al fine di individuare tutte le regole cui il soggetto deve essere sottoposto nello svolgimento dell’attività. Invece, nell’ambito dell’ordinamento comunitario, prevale la nozione funzionale di impresa, vale a dire ciò che interessa è disciplinare gli effetti che l’esercizio dell’attività imprenditoriale produce sul mercato (Sui limiti di tale metodica interpretativa, v. Nizzo, La definition d’entreprise dans la recente jurisprudence de la cour de justice et l’emprise croissante du droit communautaire de la concurrence, in Responsabilità, comunicazione, impresa, 1996, 73).
La differenza di prospettiva è evidente, qualora si consideri come l’ordinamento comunitario abbia quale fine precipuo quello di creare un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno, con la necessità di creare sul mercato una attività di libero scambio volta alla “creazione di un mercato unico che offra condizioni analoghe a quelle di un mercato interno” (Corte di Giustizia, sentenza 25 ottobre 1977, Metro). In considerazione di ciò, in sede comunitaria si accede ad una nozione di impresa la più ampia possibile, con lo scopo di facilitare gli interventi repressivi di tutti quei comportamenti contrari allo sviluppo della concorrenza, con la duplice finalità, da un lato, di soddisfare al meglio sia l’interesse ad un equilibrato sviluppo economico, sia al più razionale impiego delle risorse produttive; dall’altro lato, di tendere alla realizzazione dei principi che informano il mercato comune, quali la libertà di circolazione dei capitali e delle merci, della prestazione di servizi, di stabilimento.
Le due differenti nozioni di impresa richiamate hanno determinato la necessità di addivenire alla individuazione di un punto di compatibilità tra di loro, risolto con la constatazione che, in ogni caso, si tratta di concetti destinati ad operare, per scopi diversi, in separati ordinamenti. In concreto, in ambito civilistico nazionale ciò che rileva è lo svolgimento dell’attività, secondo i requisiti dettati dall’art.2082 c.c., al fine di applicare la disciplina propria dell’impresa, dalla quale deve essere tenuta distinta la posizione dei professionisti intellettuali. Mentre, per l’ordinamento comunitario, l’interesse è incentrato sulla necessità di reprimere qualunque comportamento che contrasti con l’istituzione di un mercato integrato e, quindi, è sufficiente il compimento di un atto economico per rientrare nella nozione di impresa suscettibile di controllo in tal senso (In tal senso, Guizzi, 299).
Pertanto, la nozione interna di impresa potrebbe essere rappresentata come un’entità distinta da quella comunitaria, in quanto destinata ad operare in un ambito del tutto diverso rispetto a quello più strettamente comunitario. Senonché l'applicazione di tale criterio che per un lungo periodo di tempo ha rappresentato un soddisfacente parametro di interpretazione sistematica, non appare più praticabile in conseguenza dell’emanazione della legge 10 ottobre 1990, n.287, cosiddetta “antitrust”, che ha introdotto nel nostro ordinamento le norme per la tutela della concorrenza e del mercato. Tale normativa definisce correttamente i rapporti con la disciplina comunitaria, specificando all’art.1, da un lato, che la legge si applica in tutti i casi “che non ricadono nell’ambito di applicazione della normativa comunitaria”, dall’altro lato, che la stessa legge deve essere interpretata “in base ai principi dell’ordinamento delle Comunità europee in materia di disciplina della concorrenza”. Tali principi naturalmente sono costituiti non soltanto da quelli specificamente normativi, bensì anche da quelli elaborati dalla Commissione e dalla Corte di Giustizia.
  Questa disposizione, che costituisce una delle norme più interessanti della legislazione italiana degli ultimi anni (Cassese, La nuova costituzione economica, Bari, 1995, 54-5), riafferma il principio della prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno sotto due distinti profili: il primo è costituito dal completamento dell’ordinamento nazionale in base ai principi dell’ordinamento comunitario; il secondo della residualità della disciplina nazionale rispetto a quella comunitaria. In buona sostanza, riprendendo un’efficace espressione che sintetizza i rapporti tra i due ordinamenti, quello comunitario e quello italiano, si verifica un fenomeno in base al quale il diritto nazionale “cede” al diritto comunitario (Cassese, 55).
 Sul piano concreto ciò vuol dire che l’accertamento di accordi o di pratiche concordate tra imprese, di abusi di posizione dominante, di operazioni di concentrazione tra imprese, dovrà essere ispirato alla elaborazione comunitaria anche per questioni concernenti l’ambito nazionale. Il che implica l’assorbimento nel nostro ordinamento non soltanto del significato assunto in sede comunitaria del contenuto delle fattispecie illecite anticoncorrenziali, ma soprattutto della nozione di impresa assunta in sede comunitaria (Guizzi, Il Concetto di impresa tra diritto comunitario, legge antitrust e codice civile, in Riv. dir. comm., 1993, 300; Saja, L'autorità garante della concorrenza e del mercato: prime esperienze e prospettive di applicazione della legge, in Giur. comm. 1991, I, 458).
In considerazione di ciò, la nozione di impresa dettata dal codice civile appare fortemente recessiva, giacché essa lascia inevitabilmente spazio anche in sede nazionale alla nozione di origine comunitaria con specifico riferimento all’applicazione della disciplina della concorrenza. Con la conseguenza che in relazione a tale profilo non può ritenersi sussistente un rapporto di alterità tra le due nozioni, dovendo ritenersi esse, per le finalità considerate, del tutto coincidenti.
Tirando le fila del discorso sin qui svolto, si può a questo punto affermare la sostanziale equiparazione tra impresa e professioni intellettuali nell’ordinamento comunitario e nel nostro ordinamento, sotto il profilo dell’applicazione della normativa sulla concorrenza, con l’effetto di dover ritenere applicabile ai professionisti intellettuali tutta la disciplina in materia di concorrenza tradizionalmente riferita all’impresa. Più specificamente, l’applicazione della legge n.287/90 ai professionisti intellettuali è destinata a determinare il superamento del regime speciale previsto nei loro confronti dal codice civile, ad eccezione della loro esenzione dalle norme che compongono lo statuto dell’imprenditore commerciale, relative, in via principale, all’iscrizione nel registro delle imprese e alla soggezione alle procedure concorsuali in caso di insolvenza (In tal senso, Galgano, Professionisti intellettuali, ecco come sta cambiando il loro quadro..., in Italia Oggi, 20 gennaio 1998).
 Peraltro, la piena consapevolezza di tale situazione normativa non sempre assiste in sede nazionale il grande movimento riformatore in atto in relazione alle libere professioni in genere e all’attività forense in particolare. Invero, da un lato, nell’elaborazione del testo del disegno di legge delega per il riordino delle professioni intellettuali si individua, in palese contrasto con la disciplina comunitaria, quale criterio direttivo quello della “distinzione nel quadro della normativa dell’Unione Europea, delle professioni intellettuali dall’attività di impresa” e della “disciplina delle stesse secondo i caratteri intrinseci e prevalenti, delle prestazioni professionali”(art.2, lett e). Dall’altro lato, il testo di riforma delle dell’ordinamento professionale forense, approvato dal consiglio dei ministri nell’agosto 1998, prevede espressamente all’art.1 che: “L’interpretazione delle disposizioni della presente legge è effettuata in base ai principi dell’ordinamento dell’Unione Europea in materia di esercizio della professione di avvocato”. Ma nonostante tale enunciazione di pregevole tecnica legislativa, che potrebbe apparire addirittura superflua, stante, in ogni caso, l’innegabile primazia del diritto comunitario, occorre, comunque, rilevare che sarebbe auspicabile il compimento di sforzi ulteriori al fine di adeguare il contenuto del testo normativo ad una più rigorosa applicazione di siffatti principi. Ciò naturalmente per evitare che disposizioni con questi incompatibili cadano inesorabilmente sotto la scure di successivi giudizi finalizzati al rispetto delle regole sulla tutela della concorrenza, così come delineate in sede comunitaria, con inevitabili riflessi anche sotto il profilo nazionale.

        
 
 

Il tema del presente scritto è stato più ampiamente trattato nel volume "L'avvocato e l'Europa" a cura di Gaetano Viciconte edito da Giuffré con il patrocinio dell'Associazione Nazionale Forense.