SERVIZI PROFESSIONALI E QUALITA’

Standard della prestazione professionale e soddisfazione del cliente

Di Gianluca Marzocchi

La qualità dei servizi nasconde in realtà due temi distinti, qualità e servizi; li approfondirò ben consapevole che all’interno della vostra professione non è certo la prima volta che vi confrontate con simili argomenti. Consentitemi però di affrontarli con quel minimo di rigore che il mio ruolo mi impone. Parleremo molto concisamente di qualità e di servizi, dapprima separatamente, e successivamente tenteremo di declinarli in modo congiunto.
La qualità innanzitutto: io penso che se ne parli molto, la parola ISO 9000 compare su un numero fin eccessivo di prodotti. Cominciamo a fare i conti con un approccio che ritroveremo spesso, usato anche provocatoriamente, nel corso della mia relazione. Nascendo economista ( solo in un secondo momento mi trasferisco alla facoltà di Statistica) mi ritrovo esponente naturale della cosiddetta "sad science", o "scienza triste", vale a dire, appunto, l’economia. Veramente triste forse non lo è, però sicuramente l’economia si propone di analizzare gli eventi con un pizzico di disincanto, di cinismo, di andare a leggere i fatti sfrondandoli, per quanto possibile, dalle loro valenze etiche. Quando quindi ci troviamo a parlare di qualità e lo facciamo da un punto di vista economico non possiamo utilizzare l’accezione quotidiana del termine, dove qualità vuol dire "buona qualità".
Dal punto di vista squisitamente economico qualità vuol dire essenzialmente aderenza ad uno standard, e quindi dipendenza dal luogo in cui questi standard vengono definiti e dalle persone che hanno l’autorità per definirli. Questo vuol dire che se lo standard prevede che un determinato prodotto (es: una lampadina) presenti per motivi di obsolescenza pianificata una durata di 300 ore (prescindendo dal fatto che la tecnologia disponibile consentirebbe di farlo durare 3000 ore), se questo prodotto ne dura 1000, questo prodotto non è di buona "qualità". Questo è un primo concetto faticoso da accettare, quasi scivoloso sul piano etico (ne discende che un bene può essere di qualità modesta anche se il consumatore è contento del prodotto). In realtà, se qualità significa adesione ad uno standard, e lo standard concordato dalle associazioni dei produttori è di un certo tipo (per esempio 300 ore), chi produce lampadine di durata pari a 1000 ore sta in realtà fabbricando, in quest’accezione rigorosa, prodotti di scarsa qualità.
Va da sé che stiamo aprioristicamente assumendo che lo standard sia già stato definito. Non è questione di poco conto, perché evidentemente nel momento in cui andiamo a pensare alla definizione degli standard e al processo a cui questi standard sono fissati, si aprono due grandi strade. Possono essere basati su opinioni interne ai fornitori del prodotto o servizio, ovvero caratterizzarsi come standard endogeni: "Io decido quali sono gli standard ai quali mi atterrò". Parallelamente posso però pensare anche a standard di diversa natura, a standard esogeni. Cosa significa? Che essi non sono definiti all’interno del sistema di offerta, ma mutuati dall’esterno, definiti attraverso un confronto e una dialettica con realtà terze, prima fra tutte la popolazione dei clienti, utenti, fruitori, ovvero di coloro a cui i servizi sono diretti.
Quindi possiamo definire in modo autocratico i nostri criteri d’azione oppure possiamo costruire i nostri standard attraverso un confronto con chi sta davanti a noi, con chi fruisce della nostra offerta. Torniamo al punto di partenza: qualità come aderenza a degli standard. Non vorrei che qualcuno di voi abbia anche solo lontanamente ipotizzato che il mondo economico riservi tanta attenzione alla qualità o alla soddisfazione del cliente per un improvviso impeto di bontà insorto nella categoria degli imprenditori o dei produttori in senso ampio. Niente di tutto questo. Bontà ed etica sono concetti fondamentali, che rivestono un peso enorme nella vita di ciascuno di noi, ma che l’economia e le altre scienze di cui mi occupo giudicano impossibili da gestire con gli strumenti a loro disposizione (e quindi il problema viene lasciato ad altri, filosofi in primo luogo). Noi ci occupiamo della soddisfazione del cliente per motivi veramente bassi: sappiamo che la soddisfazione del cliente è la principale motivazione per cui il cliente continua a servirsi di noi, continua a ricomprare i nostri prodotti. Moltissime aziende richiedono attraverso questionari e numeri verdi notizie sulla vostra soddisfazione o meno. E’ avvenuto perché sono buone? Ovviamente no. L’importante è mantenere la clientela che già queste aziende hanno, e questa è la motivazione per cui si ritiene fondamentale, prima ancora di allargare il business, tutelare la clientela che già si rivolge a noi e verificare che essa sia soddisfatta. Come si può garantire la soddisfazione? Se è vero che la qualità percepita è adesione a degli standard, allora bisogna fare un passo in avanti: non essere convinti che il nostro modo di progettare un prodotto sia il migliore dei modi possibili.
Come professore universitario appartengo ad una categoria che in quanto ad endogenità di definizione degli standard non scherza, eppure ci stiamo pesantemente mettendo in discussione, e anche in questo caso per l’impatto congiunto di alcuni fattori ambientali: decremento demografico, disposti legislativi che hanno radicalmente cambiato l’entità dei finanziamenti alle università, nonché le rispettive modalità di assegnazione, oggi correlate al numero di studenti iscritti e laureati. Questo sta provocando un grosso cambiamento culturale nella classe docente: chi prima sosteneva che avrebbe gradito meno studenti per poter condurre meglio le proprie ricerche adesso è in prima a fila a parlare di soddisfazione del cliente. Si è creato un interesse contingente: non è che i miei colleghi siano più buoni di un tempo, è semplicemente accaduto che i mutati fattori ambientali hanno reso scarsa una domanda che prima era sovrabbondante. Oggi in Italia vi è un eccesso di offerta di istruzione superiore e quindi le Università hanno reagito mantenendo e fidelizzando la clientela. Infatti acquistare un cliente nuovo è molto più costoso che mantenere un cliente esistente: l’equazione secondo cui morto un cliente se ne ha un altro è falsa, empiricamente falsa.
La qualità percepita non è quindi astratta ma è riconducibile ad un numero finito di dimensioni, attributi. Per esempio, voi siete clienti di quest’albergo: se vi viene proposto un questionario di valutazione dell’albergo, non vi è dubbio che in una scala da 1 a 10 voi potreste valutare quest’albergo senza alcuna difficoltà. Se appena riflettete, vi rendete però conto che non avete effettuato una valutazione generale ed astratta dell’albergo, ma che il giudizio di ognuno sarà figlio di valutazioni su specifiche dimensioni del servizio: il bagno, la camera ecc.. Ciascuno di voi avrà individuato un numero finito di dimensioni sulla base delle quali fornire un giudizio complessivo sull’esperienza fatta.
Questo è un punto molto importante: cosa infatti significa "sono soddisfatto" ? E in base a che cosa? In base alle mie aspettative. Quindi non esiste un concetto di qualità assoluta, ma piuttosto un concetto legato al nostro sistema di aspettative. Cosa mi aspetto da un servizio? Noi non ridefiniamo ogni volta cosa ci aspettiamo da un servizio. Usiamo dei criteri: la nostra esperienza passata, il fatto (se ci riferiamo sempre all’albergo come esempio) che fosse un albergo di Riccione, a 4 stelle, dove eravamo già stati ecc.. Il sistema di aspettative con cui accediamo ad un servizio si confronta poi con le percezioni reali, scaturite dalla fruizione reale del servizio, ed è dal confronto tra questi due termini che scaturisce il giudizio conclusivo, la soddisfazione o la insoddisfazione.
L’importante è che ci convinciamo che la qualità non è un concetto etico, morale, ma una cosa molto più banale e più concreta: la differenza tra aspettative maturate ex ante e percezioni sviluppate ex post, durante il processo di fruizione del servizio o del prodotto.
Veniamo ora al secondo termine della nostra analisi: il servizio e la sua specificità.
Noi offriamo ai nostri clienti servizi: io di formazione, voi definiti in vario modo. Quale è la differenza tra un prodotto materiale (es. automobile) ed un servizio? La differenza fondamentale fra noi e Mercedes sta in un fatto: prima di tutto quello che facciamo noi è intangibile, non fa male se passa su un piede! In altre parole, non ha una struttura fisica (la laurea, la mia lezione).
Secondo elemento: voi avete mai avvitato un bullone della vostra auto? Io credo di no, tranne casi rari, nel nostro tempo libero non smontiamo l’automobile. Sapete perché vi faccio questa domanda? Perché invece questo è sistematicamente ciò che avviene per ogni tipo di servizio. Voi state partecipando alla mia relazione a livello intellettuale, nella vostra professione è fondamentale che il cliente partecipi al vostro lavoro, recandosi presso il vostro studio, reperendo materiale, dicendovi delle cose ecc.. Anche nel mio mestiere funziona così e io stimolo la partecipazione dei miei studenti. Ma perché lo faccio? Perché sono buono? Anche, ma non solo! Soprattutto perché so che la qualità della partecipazione didattica dei miei clienti e la qualità del mio servizio, sono la stessa cosa. Il servizio è quindi e soprattutto partecipazione del cliente alla erogazione del servizio.
Il terzo aspetto fondamentale si riferisce al fatto che per un prodotto è ormai certo, dati i processi produttivi altamente automatizzati e ottimizzati, che ogni esemplare è uguale ad un altro, e che quindi se un prodotto è di qualità anche gli altri esemplari fabbricati nella stessa linea produttiva sono di qualità (su questo semplice presupposto si basa il controllo statistico di qualità che insegniamo ai nostri studenti). Per quanto riguarda il servizio questo presupposto è continuamente negato. Tante cose cambiano nella fornitura di uno stesso servizio in momenti diversi.
Questi tre concetti sono importanti: intangibilità, partecipazione del cliente e variabilità (questi due fattori sono legati da un nesso causale). Trattandosi di esseri umani la variabilità è inevitabile, ma questo comporta che l’oscillazione nell’adesione agli standard sia alta, e il fatto che esista questa oscillazione rispetto alle aspettative fa sì che ci sia cattiva qualità.
Di questo non dobbiamo gioire: se mi avete ascoltato fin qui, infatti, vi siete resi conto che se per quanto riguarda l’albergo voi avete fruito di un servizio che era casualmente più alto del solito, voi avete maturato l’aspettativa che quello fosse lo standard dell’albergo e quindi oggi rimanete delusi. Quindi evidentemente il cliente abituale e quello occasionale hanno diverse percezioni; questo già ci suggerisce che nei confronti del nuovo cliente dobbiamo utilizzare un approccio differente.
Riprendo il concetto di tangibilità, che forse va un po’ spiegato. Parlavo prima di attributi chiave e cioè delle caratteristiche che compongono un prodotto (es. l’automobile). Noi siamo soliti considerare tre categorie di attributi: attributi ricerca, attributi esperienza, attributi fiducia.
I primi (attributi ricerca) si possono valutare prima di un acquisto: un buon esempio è dato da una penna a sfera. Posso stabilire a priori dei criteri e dei parametri che mi consentono di valutare e confrontare varie penne a sfera fra loro: paradossalmente posso comprare un’enorme quantità di biro, le confronto e ne scelgo una essendo assolutamente certo che questa è la migliore biro possibile.
La seconda categoria è quella degli attributi esperienza: esempio i ristoranti. Non si può applicare lo stesso metodo che abbiamo utilizzato con le biro (o le sedie ecc.) o comunque con oggetti valutabili prima dell’acquisto. Il ristorante è la classica categoria di bene valutabile solo dopo che ne ho usufruito. Ho degli indizi ma non sono sufficienti a stabilire interamente il mio giudizio. Dopo che ne ho usufruito posso invece affermare con sicurezza se sono soddisfatto oppure no. Tutto sarebbe facile se il mondo si riducesse a queste due categorie.
Noi facciamo invece riferimento ad una terza categoria, che non include quindi né i beni esperienza, né ricerca, bensì i beni fiducia, che non sono valutabili né prima né dopo l’acquisto. Apparteniamo agli erogatori dei servizi fiducia. Siamo in buona compagnia: cardiochirurghi, elettrauto ecc.. Cosa hanno in comune con le nostre professioni? Che i nostri clienti non sono in grado di valutarle prima dell’erogazione del servizio, ma neanche dopo, perché gli effetti della nostra attività sono valutabili soltanto a distanza di tempo. Questo è un punto nodale, perché se i nostri clienti non sono in grado di valutare il nostro operato prima dell’acquisto, ma neanche dopo, questa è una grossa questione. Esiste un divario di tempo, ma anche un gap culturale, per cui il cliente non può sindacare sul nostro operato perché spesso non ne ha gli strumenti. Partendo da tutta questa serie di parametri, è ora tempo di provare a fondere tutti i concetti che abbiamo trattato separatamente.
Dimenticavo: una caratteristica che tutti i servizi condividono è il cosiddetto sistema di erogazione. Noi pensiamo che il nostro cliente abbia una capacità discriminante pari alla nostra, e che quindi sappia distinguere le varie funzioni e competenze all’interno del servizio (impiegati, titolari ecc.): purtroppo non è così. Questo è fondamentale, perché altrimenti rischiamo di curare in maniera maniacale il servizio erogato dalla nostra persona proprio perché crediamo che il cliente da questa inferisca il suo giudizio, e invece lo inferisce da una quantità di cose che magari noi non curiamo (es. i ricevimenti dei professori, le segreterie ecc.).
Partendo da tutta questa serie di riflessioni, cosa significa potere offrire un servizio di qualità? Per rispondere mi manca un ulteriore elemento di analisi: gli errori che commettiamo nel distinguere fra ciò che riteniamo essenziale alla nostra professione e ciò che riteniamo complementare. Questa è una distinzione fondamentale per chi si occupa di gestione dei servizi, è la differenza tra servizio centrale e servizio periferico. Facciamo l’esempio del trasporto aereo: cos’è centrale e cos’è periferico in questo servizio? Essere trasportati da una città all’altra: questo è centrale. Ma il servizio non finisce qui perché fra i servizi periferici sono compresi i pasti a bordo, i check in, le sale d’attesa ecc.. Questi sono i servizi periferici che potrebbero anche essere eliminati senza togliere significato al tutto. E allora che cosa dobbiamo presidiare: la qualità del servizio centrale o quella del servizio periferico? Così come il cliente confonde tra noi e i nostri collaboratori, non si da il caso che questa distinzione così netta tra servizio centrale e periferico sia molto meno netta di quello che pensiamo?
Quali sono quindi le dimensioni chiave nell’offerta di un servizio? Emergono 5 dimensioni, 5 grandi aree che se opportunamente presidiate tendono a far percepire un servizio di qualità:
1) Affidabilità: vuol dire "fai quello che mi hai promesso di fare" ma anche "non farmi promesse su quello che non sei in grado di fare" perché altrimenti sei autolesionista, in quanto la clientela ridefinisce le proprie aspettative sulla base di quanto le viene promesso.
2) Capacità di risposta: ciò che valuto in maniera molto positiva è anche qualcuno che sa seguire nel momento di difficoltà, che non scompare quando ho bisogno di lui. Tutti siamo bravi a gestire i successi, però è importante essere vicino al cliente quando ha un problema.
3) Terza dimensione, molto bella, che mi piace molto ed a cui sono personalmente molto legato: rassicurazione, i clienti cercano rassicurazione. Non vi deve stupire, se è vero che i servizi hanno una forte componente di esperienza e di fiducia. E’ fondamentale che io, nel momento in cui il cliente vive l’ansia dell’acquisto di qualcosa che non può valutare prima, cerchi indizi di rassicurazione. E allora, in questo senso, è anche bello constatare, come diceva poc’anzi Federico Tonelli presentandomi, come gran parte di ciò che rappresenta la saggezza ed il sentire diffuso di una professione trovi sovente, in chi la studia con approccio scientifico, grande supporto. Certamente, vi sto dicendo che è fondamentale esibire quella lunga lista di lauree e diplomi dietro la vostra schiena. Ha un forte significato, non solo simbolico: è rassicurante. Ancora una volta, questa rassicurazione è particolarmente importante non sul vostro cliente abituale, non sull’impresa di costruzioni che lavora con voi da dodici anni e che vi valuta sulla base delle centinaia di transazioni effettuate con voi. È soprattutto il nuovo cliente, che sta gestendo l’acquisto della sua prima casa, a trovare in quella lunga serie di diplomi delle importanti rassicurazioni. Ma, attenzione, rassicurazione è anche cortesia. La cortesia è molto rassicurante, perché evidentemente significa che il fornitore del servizio è preoccupato più di me. Magari non è del tutto vero, però se voi vi fate percepire cortesi, certamente trasmettete rassicurazione.
4) Abbiamo finora parlato quindi di affidabilità, di capacità di risposta, di rassicurazione. Quarta dimensione: l'abito fa il monaco nei servizi? Si, assolutamente si. Questo è l’aspetto in qualche modo più curato, in particolare dagli ordini professionali. E’ un approccio assolutamente difendibile sul piano scientifico. Perché l'abito, la qualità del nostro studio, sono importanti? Ancora una volta perché il cliente non può e non potrà mai valutare a priori un bene fiducia, però cerca disperatamente delle inferenze, cerca disperatamente dei sostituti cognitivi, qualcosa che, in assenza della possibilità di valutare a priori, rassicuri sulla bontà della scelta compiuta. Siamo tutti d’accordo sul fatto che uno studio un poco periferico, un abito appena meno curato, non hanno alcuna relazione statistica con la qualità della nostra attività principale. Ma, ancora una volta, se affermiamo questo, stiamo commettendo il più grave degli errori.
5) Ah, la quinta dimensione, l’empatia. L’empatia non è simpatia: io non mi aspetto che il mio notaio sia simpatico. I miei amici li cerco, e li trovo, altrove. Poi, casualmente, a volte un notaio è anche amico. Voi avete degli amici, ma per loro siete amici, non siete notai. Dal professionista io non mi attendo comprensione umana, mi attendo però che mi ascolti. Ascoltare: questa è una cosa che tutti abbiamo ormai dimenticato, non sappiamo più fare. Ma i clienti adorano essere ascoltati. La letteratura sui notai non è molto ricca, ma la letteratura sulla qualità dei servizi medici è sterminata, anche perché, come ben sapete, nel Nord America sono erogati in un regime di concorrenza. Bene, uno dei fondamentali criteri alla base del giudizio di qualità è ascoltare il cliente: un bravo medico è il medico che ascolta. Si può obiettare che un buon medico è il medico che ti cura bene: sarà anche vero, ma purtroppo non sono in grado di valutare se mi cura bene. Me ne accorgerò tra vent’anni se mi cura bene, o forse fra dieci, o fra cinque: intanto so che mi ha ascoltato. Può sembrarvi sconsolante ciò che vi sto dicendo, però è vero. Ad oggi, la conoscenza scientifica di cui disponiamo ci dice che è vero.
Per concludere: se leggete trasversalmente queste cinque dimensioni, trovate che questa è forse la riflessione più breve e più profonda che io e la comunità scientifica cui appartengo ci permettiamo di lasciarvi qui oggi. Noi curiamo tantissimo la cosiddetta qualità tecnica del nostro operato, quella legata all’affidabilità, quella legata al servizio centrale, perché su quella siamo stati formati, quella ci hanno insegnato, su quella i nostri maestri hanno insistito. Ma esiste un’altra dimensione di qualità, che se riflettete è legata alle altre quattro dimensioni. Pensate che cos’è capacità di risposta, cos’è empatia, cos’è rassicurazione. Non sono dimensioni tecniche, non è necessario conoscere bene o benissimo i poderosi codici di cui un modesto esemplare, non certo in qualità, ma in termini di dimensione, abbiamo qui. Quello che emerge, e se volete è anche difficile da accettare, è che sulla dimensione puramente tecnica non saremo mai vincenti: non è differenziante. Se accettate un parallelo calcistico, ed è l’ultima cosa che dico, la qualità tecnica rappresenta la difesa. Potremmo discutere a lungo se è più importante la difesa o l’attacco, però è indubbio che la qualità tecnica rappresenti la difesa. È chiaro che con una cattiva difesa sono immediatamente fuori dal gioco, ma è altrettanto chiaro che se ho solo una buona difesa al massimo raggiungerò lo 0 a 0. Il fattore differenziante è la dimensione relazionale. Vi prego di pesare bene quello che sto dicendo: non sto affatto affermando che un buon sorriso compensa un errore nella stesura di un atto ("Mah, è molto simpatico, però ogni tanto si dimentica delle clausole…"). Non ho detto questo, non lo penso, se qualcuno ha inteso questo alzi la mano: mi correggerò immediatamente. Ciò che sto sottolineando è il rischio di commettere l’errore opposto, che anch’io ogni tanto commetto. Ma come, io sono tanto bravo, perché quello studente non mi ha valutato il massimo, nei giudizi di fine corso, ma mi ha valutato un po’ meno del massimo? Io sono bravissimo, sono preparatissimo, studio sempre, so tutto, mi aggiorno negli Stati Uniti: in realtà non basta. Primo punto, bisogna vedere se a quello studente tutto questo veramente interessa.. Secondo : dato e concesso che gli interessi, la domanda chiave diventa: mah, e poi? Tanto non è in grado di valutare la mia preparazione, è la mia etica che mi impone di essere preparato. Ma se io voglio offrire un servizio di qualità devo toccare tutti gli altri quattro aspetti. Devo essere empatico, capace di rispondere, rassicurante, e infine anche curato negli aspetti tangibili, poi potremo discutere. Un abbigliamento coerente con un uditorio di  professionisti potrebbe essere percepito un po’ rigido dal mio studente ventiduenne che solitamente arriva con una spilla nel naso e due negli orecchi. E che io stesso, che in fin dei conti ho "solo" 39 anni, mi devo sforzare di non associare a comportamenti devianti: perché i miei studenti non sono devianti, sono bravissimi, anche se hanno una spilla nel naso. 
 

Relazione tenuta dal prof. Gianluca Marzocchi, docente di Marketing alla Facoltà di Scienze Statistiche di Bologna, al convegno dell'Associazione Sindacale dei Notai dell'Emilia Romagna del 5 giugno 1999