Le posizioni Consilp
Estratto del documento politico sulla "Riforma delle libere professioni
italiane"
Il modello organizzativo del lavoro
Secondo il trend internazionale viene sempre più privilegiato
il modello organizzativo della
grande distribuzione di beni e servizi ritenendo che esso risponda
a criteri di efficienza ed
economicità maggiori.
Talune economie, e quella italiana in particolare, hanno dimostrato,
invece, che il tessuto
economico-produttivo può reggere meglio i contraccolpi recessivi
(o inflattivi) quanto più
parcellizzato esso risulti.
La riflessione serve a convalidare l’inesistenza di un modello organizzativo
perfetto in
termini, addirittura, di organizzazione imprenditoriale. Se, come si
è visto, l’esercizio di
un’attività professionale risponde, intanto primariamente, al
bisogno di opportunità
lavorative qualificate ed individuali, tale inesistenza è ancor
più vera e rende la visione del
cosiddetto "global-player" come nociva a tale ordine di prestazioni.
Ragionando in termini economici, infatti, la professione esercitata
sotto il dominio
organizzativo del "global player" non può che generare una più
alta incidenza di costi ed
una sempre più affievolita pervasione del rapporto che non sono
soddisfacentemente
equilibrate dalla possibilità (invero molto teorica) della miglior
qualificazione del servizio per
l’utilizzo di maggiori fonti finanziarie. La necessaria snellezza dell’esecuzione
unita
all’inevitabile decentramento socio economico nei singoli paesi lascia
presumere, inoltre,
che talune prestazioni professionali (quelle di minor impegno concettuale,
quelle di pratica
applicazione, quelle di connotazione individuale e fortemente decentrate
territorialmente)
siano meglio eseguibili da un "local-player".
Non è opportuno, quindi, sia pure ammettendo la validità
dei benefici provenienti sul
mercato dalla globalizzazione, che alcuno degli accordi in rassegna
venga concepito
ipotizzando prefissati standard di modelli organizzativi o stravolgenti
riforme
dell’ordinamento domestico ideati in modo diverso dal consentire uno
strumento
organizzativo in più o, peggio, in spregio delle tutele cui
ha diritto la parte cosiddetta "più
debole" che è l’utente.
E’, pertanto, evidente che l’introduzione nel modello organizzativo
lavorativo della
possibilità di esercizio in forma collettiva (anche di società
di capitali) debba essere
orientata più verso la dotazione oggettiva che non soggettiva
e che, quindi, sempre in tali
soggetti collettivi debbano prevalere professionisti e mai capitalisti.
A tale profilo dell’analisi non è estranea l’avvertita necessità
, in linea con l’evoluzione della
prestazione professionale e della sempre maggiore specializzazione,
la possibilità di
esercitare con studi associati in modo interdisciplinare consentendo
il controllo
deontologico degli stessi ad un prescelto (maggioritario ?) ordine
di discipline presenti
nell’esperienza lavorativa.
Il modello organizzativo della professione
E’ di tutta evidenza, per quanto sopra, che la spinta interna alle stesse
professioni per
giungere ad una riforma dell’esercizio della stessa, risulta incentrata
su una ricerca di
modernità dei propri regolamenti e sulla uniformità degli
stessi anche in connessione alle
evoluzioni di mercato possibili nel nuovo scenario economico finanziario
che si prospetta
con l’avvento del terzo millennio.
Si può, dunque, ipotizzare che la maggior parte di tali spinte
interne sia diretta , e trovi
risposte, nelle modifiche apportabili agli attuali regolamenti in tema
di :
a.rappresentatività democratica degli iscritti agli
albi ed ordini in atto non
sempre uniformemente previste con rappresentatività
diretta. Se si eccettuano, in
massima parte, tutte le rappresentanze dirette
degli ordini e collegi circoscrizionali,
l’espressione regionale o nazionale di ogni
singola professione è determinata da un
processo di rappresentatività mediata
che esclude l’apprezzamento del singolo sugli
stessi. In taluni regolamenti professionali
attuali è più difficile (ma più
rappresentativo) venire eletti consigliere
di un ordine provinciale che del relativo
Consiglio Nazionale. Per di più tali
vertici , spesso sballottati tra veste di ente
pubblico o finalità di tipo privatistico,
non uniformemente rispettano regole di
trasparenza della gestione tanto da non essere
previsto né un vaglio preventivo né
consuntivo né controlli di percorso
nella formazione della spesa. Pericolosamente il
sistema pubblico (Corte dei Conti) ha tentato
di avocarsi il sindacato contabile e ciò
che ne potrebbe conseguire. Anche in tale
direzione si avverte una esigenza di
riforma.
b.Rappresentatività degli interessi particolari
dei professionisti in atto, sovente,
svolta dagli stessi ordini e collegi professionali
con la conseguenza di concentrare,
sullo stesso soggetto, interessi contrastanti.
Fermo restando il dettato
costituzionale sulla libertà di associazione
(già di per se indicativo, anche in tema
sindacale, della soggettività della
rappresentanza in rassegna) emerge in modo
inequivocabile la necessità di chiarire
(distinguendoli) le aree di competenza della
tutela della fede pubblica (affidata agli
ordini e collegi) da quella di difesa degli
interessi dei singoli componenti il corpus
delle professioni (associazioni sindacali).
c.Uniformità dei criteri di accesso regolamentati
su basi diverse negli attuali
regolamenti. Tale punto racchiude tanto le
problematiche connesse con la
qualificazione professionale (praticantato,
formazione scolastica, percorsi cognitivi)
quanto quelle collegate all’ammissione al
corpus esercenti (esami abilitativi).
Molte professioni, ancora, non prevedono prove
di abilitazioni su basi regionali, molte
altre sono in ritardo con l’aggiornamento
( e l’equiparazione europea) del percorso
formativo, altre, ancora, pur svolgendo la
stessa funzione professionale , hanno
metodiche di accesso e praticantato diverso.
Potrebbe dirsi, su tale necessità, che
occorre "disboscare le diversità" avendo
cura di non cadere in situazioni
contraddittorie o, peggio, utilitaristiche
mettendo a repentaglio la presenza del
"professionista" nel momento del vaglio preparatorio.
Non è aprioristicamente
escludibile che l’accesso possa essere organizzato
dallo stesso corpus professionale
anche con esperienze accomunanti al mondo
della formazione scolastica. In tal caso
è auspicabile che, proprio per mantenre
agli ordini professionali il controllo
deontologico e qualitativo, essi non abbiano
coinvolgimento nella fase lasciando,
semmai, tale incombenza alle organizzazioni
libere della professione.
d.Mantenimento della qualità della prestazione mediante
corsi di aggiornamento
obbligatori in atto non previsti e congegnabili
in un numero prefissato di ore di
partecipazione a seminari, stages o convegni.
Il tema, ancora, introduce un argine alle critiche
sulla "qualità" della prestazione
professionale in atto reclamata dall’opinione
pubblica e sorretta dalla politica in
conseguenza di eventi di cronaca che hanno
evidenziato il limite della capacità
punitiva del sistema ordinistico sul professionista
incapace o doloso. La tematica del
"controllo di qualità" và coniugata
con la particolarità della prestazione e rivolta, a
titolo preventivo e generale, non alla singola
prestazione ma al livello organizzativo
ed ai protocolli seguiti dal singolo studio.
E’ attraibile al tema anche la questione
attinente la comparabilità della prestazione
con quella di altre economie e paesi.
Un’attività veramente riservata : le esclusive professionali
Al di là della scelta legislativa (ovvero se mantenere il sistema
pubblico ordinistico ovvero
quello libero associativo) è di tutta evidenza che l’incedere
di pesi, obblighi, vincoli,
percorsi prefissati e regole ferree non produrrebbe alcun beneficio
collettivo se la
prestazione da rendere (con tali limiti e difficoltà) non venga
in qualche modo
effettivamente riservata al corpus dei soggetti.
Si deve rimarcare come tale questione , oltre ad essere fortemente sentita
dalle attuali
categorie professionali italiane, è veramente centrale nel ragionamento
socio economico
che ci impegna.
A garanzia dell’utente devono essere poste delle regole ma , allo stesso
tempo, a garanzia
dello stesso utente deve essere prevista l’esclusività della
prestazione da parte del
soggetto abilitato.
Tale circostanza è nodale anche per confutare , in modo dottrinario
e ragionato, l’errore di
sottoporre la prestazione professionale al controllo dell’autorità
sulla concorrenza
(Antitrust). Come si intuisce l’esercizio riservato di una attività
(alla quale abbiamo
attribuito massima attenzione nelle tutele dell’utente a motivo della
delicatezza degli
oggetti che la interessano) ad una pluralità di soggetti può
facilmente intendersi come una
sorta di monopolio da parte degli stessi. E’, però, dottrinariamente
affermato che il
"monopolio" è l’esercizio esclusivo di "un unico" soggetto a
cui non si può assimilare un
corpus professionale. Può trovare ingresso il concetto monopolistico
come forma surrettizia
del "cartello tra i soggetti" ma non v’è chi non veda l’impossibilità
per decine di migliaia di
soggetti di esprimersi in modo "preconcordato" su situazioni, richieste
e prestazioni
diversissime e incomparabili.
Estratto del Documento politico riassuntivo delle posizioni CONSILP
in tema di "Riforma delle Libere Professioni italiane"
|