ORGANIZZARE LA PLURALITA’
Riflessioni sul Congresso, l’OUA e la rappresentanza degli avvocati
Di Bruno Di Pietro
1. Il Congresso di Napoli ha rappresentato, senza dubbio, il più
alto livello di “politicità” mai raggiunto dalla Avvocatura italiana.
Obiettivi che fino a qualche anno fa sembravano chimere, e che spesso
erano oggetto delle lamentazioni ricorrenti nei discorsi degli avvocati,
come la visibilità esterna, l’attenzione da parte degli uomini politici,
la stessa capacità di incidere concretamente su scelte rilevanti
da parte del Governo e del Parlamento, sono stati raggiunti. Nei limiti
del possibile e, ovviamente, allo stato delle cose, ma comunque “anni luce”
avanti rispetto al vociare disordinato, inascoltato e frustrante di tante
manifestazioni dell’avvocatura di un passato nemmeno così remoto.
Si può dire che, se non propriamente del tutto esaudita, l’avvocatura
non è più inascoltata e che essa mostra di essere,
come ha detto un esponente del Governo, in grado di recitare un ruolo
di primo piano come parte della classe dirigente del Paese.
E’ vero: poi magari i politici a parlare sono stati troppi: ma questo
conferma che la vetrina era quella buona. E questo giustifica anche lo
spostamento dell’oggetto del dibattito dai temi propri del Congresso ai
temi propri della agenda della politica: il che conferma che il confronto
non è stato “di stile” ma vero e nel merito delle questioni più
scottanti sul tappeto.
La rappresentanza politica dell’avvocatura ha quindi compiuto un enorme
salto di qualità e questo credo sia il risultato di un biennio di
straordinaria importanza segnato dalla Presidenza di Antonio Leonardi.
L’Organismo Unitario esce dal Congresso confermato e consolidato.
2: Eppure il Congresso di Napoli è stato preceduto e accompagnato
dalla aspra polemica aperta dalla Unione delle Camere Penali. Non è
una novità, solo che la visibilità del Congresso ha reso
assai visibile la polemica stessa. Sono volate parole grosse da parte dei
vertici dell’UCPI come “autoritarismo”, “libertà”, “pluralismo”.
Si è addirittura parlato dell’OUA come di un “sindacato unico”.
Si è persino confuso lo strumento di rappresentanza (l’OUA)
con il luogo di manifestazione della rappresentanza (il Congresso)
facendo così torto ai quasi duemila avvocati (fra delegati
e congressisti) presenti. Si è del tutto impropriamente detto che
al Congresso non vi erano i penalisti italiani laddove gli assenti
erano i vertici dell’UCPI. Credo si siano voluti alimentare equivoci di
fondo sul modello di rappresentanza che l’Avvocatura si è
data dal Congresso di Maratea del ‘95. E’ quindi necessario a mio avviso,
anche per avviare un dibattito serrato e serio, fare chiarezza su alcuni
punti della polemica.
3: Non è innanzitutto vero che il modello della rappresentanza
politica costruito da Maratea in poi sia una sorta di “soluzione finale”
del pluralismo delle posizioni, delle idee, delle espressioni associative
esistenti nella Avvocatura. Tutt’altro. Lo Statuto di Maratea parte anzi
dalla presa d’atto che la storia delle “rappresentanze” dell’avvocatura
è fatta di identità forti , radicate e assai difficilmente
riducibili. Ho detto “rappresentanze“ al plurale di proposito. Il
punto vero è che in tale pluralismo agiscono enti che hanno natura
e statuto diversi. Tutti, a vario titolo e a vario livello, rappresentativi.
Chi non ricorda i vari tentativi di costruire una rappresentanza
unitaria succedutisi nel tempo. Chi non ricorda l’infinita
lamentazione sul compito che dovevano avere gli Ordini e le Associazioni
ed i contrasti alimentati per decenni. Chi non ricorda la frustrante e
fallimentare esperienza della Commissione post-Rimini (di cui
pure l’UCPI era parte). Peraltro, e questo sia detto solo per inciso, altre
professioni che non si sono dotate di uno strumento politico unitario,
oggi vivono una stagione difficile quanto alla rappresentanza esterna dei
propri interessi in una epoca in cui il problema delle professioni è
divenuto centrale e la interlocuzione politica unitaria decisiva.
E guardano con interesse alla esperienza originale inaugurata dalla
Avvocatura.
4. Si trattava di trovare un modello democratico perchè tale
rappresentanza unitaria si costituisse: un modello che tenesse conto inoltre
della enorme e preziosa esperienza rappresentativa istituzionale
del reticolo ordinistico: un modello realizzato con lo Statuto approvato
dal Congresso di Maratea del 1995.
La teoria che sorregge lo Statuto di Maratea è descritta bene
da Palma Balsamo in un articolo apparso su questa Rassegna (N°1/98):
“Al modello della rappresentanza associativa .... si è preferito
il modello della organizzazione della comunità in corpo elettorale
che periodicamente conferisce, in determinate scadenze, un mandato negoziale
elettivo ad un agente che la rappresenta nei confronti dei
propri interlocutori”. Ma, e questo è il passaggio decisivo, il
corpo elettorale è costituito dai delegati al Congresso: corpo
che è posto anche nelle condizioni di indicare selettivamente gli
obiettivi e di operare quella generalizzazione degli interessi necessaria
affinchè non si generi quello che Palma Balsamo individua come il
vero pericolo e cioè che non si generi “un conflitto irrisolto e
sistematico fra i propri atti (ndr dei rappresentanti) e la percezione
soggettiva degli interessi da parte dei rappresentati”. E’ insomma nel
Congresso che si realizza quella difficilissima sintesi teorica fra
rappresentatività di natura diversa. Non è un caso che i
Presidenti degli Ordini sono delegati di diritto.
5. Non è poi affatto vero che tale modello di rappresentanza
unitaria metta in discussione la libertà di chicchessia. Nessuno
ha mai teorizzato né praticato la messa in discussione della possibilità
-per chiunque- di esprimere e rappresentare posizioni e idee. Le associazioni
della Avvocatura hanno continuato e continuano ad esercitare il proprio
ruolo.
Né appare soddisfacente, dal punto di vista della praticabilità,
la proposta che viene dalla Unione delle Camere Penali: una federazione
fra Associazioni.
A parte la considerazione che, in tal caso, si disperderebbe quanto
oggi gli Ordini esprimono, poiché non si vede come si potrebbe federare
soggetti di natura diversa, residua in ogni caso una serie di problemi
non facilmente risolvibili. Con quale procedura “misurare”
la rappresentatività delle varie associazioni? Come si formerebbero
il consenso, e quindi le decisioni, visto che l’esperienza precedente era
quella di paralizzanti “veti incrociati”? Quali le materie di competenza
della federazione? E chi finanzierebbe, ed in che misura, la stessa?
Insomma, un passo indietro di proporzioni bibliche.
Un passo indietro che nessuno, gli Avvocati italiani in particolar
modo, si può consentire. Peraltro, la soluzione “istituzionale”,
e cioè la rappresentanza assegnata al C.N.F. non credo potrebbe
trovare le Camere Penali consenzienti; non fosse altro che per non contraddirsi,
visto che in questo caso il rappresentante sarebbe anche il Giudice domestico.
E, lo ricordiamo, la regola della incompatibilità fra le cariche
ordinistiche e le cariche nell’O.U.A. su questo funziona da clausola di
garanzia.
6. Concludendo. il Congresso e l’O.U.A. sono tutt’altro che un
“sindacato unico”. Sono invece, più semplicemente, un modello
organizzativo. Un modello organizzativo della pluralità.
In una concezione pluralistica a tutti è concesso dire e fare
tutto assumendone - è ovvio- la responsabilità.
Ma se un gruppo di individui che esercitano la stessa professione,
che riconoscono di avere un punto di vista comune su alcuni valori ed interessi
raggiunge la consapevolezza di dover avere una interlocuzione esterna
comune ed organizzata, come sembra stia facendo l’Avvocatura italiana,
allora il problema non è risolvere il pluralismo, ma “organizzare
la pluralità”.
Credo che questa sia la risposta più soddisfacente al problema
della natura teorica dell’O.U.A.. esso è “l’organizzazione
delle rappresentatività”, o “rappresentanza delle rappresentanze”
come ha detto Antonio Leonardi nella sua relazione al Congresso di Napoli.
La forza dell’O.U.A. non deriva dalla finzione giuridica della rappresentanza,
ma dalla capacità rappresentativa del modello organizzativo verso
l’esterno di esprimere in modo efficace ciò che il “ pluralismo
complesso “ fatto di istituzioni ed associazioni dell’Avvocatura sarà
stato capace di individuare come interesse e punto di vista comune.
Credo anche sia giunto il momento di uscire dagli equivoci, di compiere
atti responsabili e di chiedere atti responsabili a tutti. Evitando la
propaganda ed entrando nel merito delle questioni.
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